domenica 31 dicembre 2023

Il problema delle distanze in astronomia, the cosmic distance ladder.

 

Il problema delle distanze in astronomia.

La scala cosmica delle distanze da Aristarco a F200DB-045



Come sappiamo quanto dista un corpo celeste?

Uno dei maggiori problemi che gli astronomi affrontano continuamente è quello della determinazione delle distanze, un problema che solo apparentemente è banale e che ha portato a importanti implicazioni circa i nostri modelli dell’universo stesso. Ma andiamo per gradi.

Come facciamo a sapere quanto distano due punti l’uno dall’altro? La tecnica più semplice consiste nel verificare quante volte una certa unità di misura standard (nei Paesi civilizzati si utilizza il Sistema Internazionale, negli altri quello imperiale) sta entro lo spazio in considerazione. La misura può essere diretta come ad esempio quando si utilizza un regolo o indiretta come ad esempio quando si utilizza un misuratore laser il quale di fatto misura, non le distanze in se ma piuttosto, il tempo che un segnale luminoso impiega ad andare e tornare dallo strumento al bersaglio. Da questa misura lo strumento può poi ricavare (calcolare) la distanza.

Notate che già in questo secondo caso la faccenda si fa un po’ più complicata in quanto la misura richiede il superamento successivo di diversi passaggi, tutti con una certa successione logica e tutti opportunamente calibrati. In primo luogo vi è la velocità della luce. Può sembrare strano o addirittura assurdo ma NON si può misurare la velocità della luce lungo un percorso da un punto A a un punto B di sola andata (OWSL)[1; 5].

Queste sono le parole Di Albert Einstein: “We have not defined a common “time” for A and B, for the latter cannot be defined at all unless we establish by definition that the “time” required by light to travel from A to B equals the “time” it requires to travel from B to A.

Trivia:

Il fatto che la velocità della luce nel vuoto (C) sia anisotropa, quindi uguale in tutte le direzioni è una convenzione. Abbiamo un’enormità di ragioni per credere che non vi sia alcuna rottura della simmetria e che quindi questa convenzione sia vera ma cionondimeno essa non è una verità scientifica. Questo ha ampie implicazioni sul concetto di simultaneità che, a scanso di equivoci, ci tengo a precisare è completamente diverso nella sua accezione comune (Newtoniana) e in quella relativistica (Einsteiniana). [2] C’è chi ha proposto delle soluzioni che permetterebbero di misurare C lungo un percorso di sola andata (OWSL) [3; 3] ma il consenso generale della comunità scientifica verte verso l’altra tesi e cioè che sia necessaria una misura lungo un percorso di andata e ritorno (TWSL).

Si può però, partendo dalle equazioni di Maxwell e avvalendosi di un po’ di fisica sottostante, dimostrare matematicamente che la luce viaggia alla velocità della luce [6]. Mi rendo conto che sembra tautologico ma la faccenda è un po’ più complessa. Si può invece misurare la velocità della luce lungo un percorso di andata e ritorno da A a B ad A (TWSL).

Ma come fare nel caso in cui le distanze in gioco siano tali da non permettere un collegamento fisico, con l’accezione volgare del termine, fra i punti A e B?

In astronomia il primo approccio al problema fu geometrico e per la precisione trigonometrico ovvero la misura della parallasse. La Treccani [7] definisce così la parallasse: “Spostamento angolare apparente di un oggetto, quando viene osservato da due punti di vista diversi.” Immaginate di avere davanti a voi un braccio teso col pollice verso e di osservare oltre esso uno sfondo lontano come un panorama. Se osserverete lo sfondo con un occhio per volta avendo cura di non muovere il braccio noterete che la posizione apparente del vostro pollice rispetto allo sfondo cambierà. In astronomia (meglio astrometria) il pollice è l’oggetto di cui volete determinare la distanza e i panorama sono le “stelle fisse”. In tutto il testo quando scriverò della parallasse lo intenderò sempre e solo con l’accezione geometrica di parallasse trigonometrica salvo un caso che però avrò cura di specificare.

I gradini della scala delle distanze.

Prima di cominciare a narrare le vicende e le tecniche relative alla costruzione della scala delle distanze cosmiche credo sia necessario fare un anticipazione. La scala delle distanze cosmiche può essere organizzata sia in gradini gerarchici che per geometrici.

La prima suddivisione indica una gerarchia fra gli indicatori di distanza i quali possono essere:

Fra questi troviamo le supernovae Ia, La relazione Tully-Fisher, la relazione Faber-Jackson, la relazione D-σ e il piano fondamentale.

La seconda suddivisione è relativa al principio geometrico della metodologia utilizzata (metodologia [8] e metodo [9] non sono sinonimi). Possiamo allora avere:

  • I metodi che sfruttano righelli standard coi quali si mettono in proporzione dimensioni reali e apparenti e che possono fornire stime relative o assolute.
  • I metodi che sfruttano le candele standard coi quali si stima la distanza in base a quanto il flusso (di luce) della sorgente si affievolisce con la distanza.

Al limite il culmine di tutte le tecniche è la misura del redshift che può essere considerato il gradino ultimo della nostra scala almeno per quanto riguarda l’analisi tramite e grazie la “luce”.  Alla fine del testo accennerò a tecniche che sfruttano altri principi di indagine. I famosi “altri messaggeri”.

Il testo che segue, per ragioni che spero saranno chiare al termine della lettura, non seguirà perfettamente questo ordine.

 

Figura 1: Il sistema osservato, Luhman 16AB , dista solo circa sei anni luce ed è il terzo sistema stellare più vicino alla Terra, dopo il sistema stellare triplo Alpha Centauri e la Stella di Barnard. Nell’immagine vediamo un sistema binario di nane brune ripreso in dodici scatti durante un periodo di tre anni. Avanzate tecniche astrometriche hanno permesso di tracciare il movimento delle componenti del sistema binario sia una attorno all’altra (in realtà attorno al reciproco centro di massa) che attraverso la volta.
Credit: ESA/Hubble & NASA, L. Bedin et al. [10]

Dal punto di vista scientifico la nostra storia comincia più di 22 secoli fa.

I primi tentativi furono fatti nella Grecia antica. Li Aristarco di Samo [11] (310-230° A.E.V.) tentò di misurare i rapporti fra le distanze Terra-Luna e Terra-Sole sfruttando il momento orbitale in cui la Luna è in quadratura e cioè quando il sistema Terra-Luna-Sole forma un triangolo rettangolo con ipotenusa Terra-Sole. Nel trattato “Sulle dimensioni e distanze del Sole e della Luna(Περί μεγετῶν καὶ ἀποστεμάτων ἡλίου καὶ σελήνης) [12] Il risultato proposto era compreso nell’intervallo fra 18 e 20. Ovviamente la limitatezza degli strumenti dell’epoca e il presupposto della circolarità delle orbite inficiò fortemente la stima del valore che oggi sappiamo essere di 400. La luna è cioè 400 volte più vicina alla Terra rispetto al Sole.

Trivia:
Ad Aristarco va il primato di aver fornito una spiegazione per l’ipotesi eliocentrica. Oltre questo egli, come pur Eraclide Pontico prima di lui, sosteneva che la Terra fosse in rotazione attorno ad un asse inclinato rispetto all’eclittica e che questa fosse la ragione dell’alternanza ciclica delle stagioni. ∼ va letto “circa”.

Nell’ultimo quarto del  secolo E.V. l’astronomo Tycho Brahe [13] (nato Tyge Ottesen Brahe) sotto richiesta di Federico II costruì sull'isola di Hven [14] gli osservatori di Uraniborg [15] e di Stjerneborg (rispettivamente letteralmente castello del cielo e castello delle stelle). Qui fece costruire strumenti sempre più precisi e grazie al mai abbastanza riconosciuto aiuto della sorella Sophie Brahe [16] compilò precise tabelle di effemeridi [17] e si dedicò allo studio delle distanze tramite la misurazione della parallasse planetaria. In questo ambito raggiunse la precisione di un minuto d’arco (simbolo ‘). A Tycho, non accettando mai il sistema eliocentrico al quale egli preferiva un complesso sistema eliogeocentrico (oggi detto ticonico) [18], spettano alcuni primati come l’aver dimostrato che le comete erano più distanti della Luna.

Trivia:
Sophia non fu né la prima e sfortunatamente neppure l’ultima donna straordinaria le cui doti e i cui contributi alla scienza sono stati misconosciuti e/o boicottati per lunghissimo tempo. Purtroppo sia l’accademia che la ricerca scientifica soffrono tutt’oggi del fardello del maschiocentrismo [19]. Link [20] alla storia di Sophia Brahe.

Figura 2: Sistema eliogeocentrico o ticonico in cui il sole gira attorno alla terra ed è il centro degli epicicli di tutti gli altri pianeti.
Credit: https://gbm.difa.unibo.it/paola/didattica/AA2019-2020/SdA/Lezione_24_a_cura_di_Maicol_DellaChiesa.pdf [22]

Con lui, per circa un anno lavorò Keplero [23] il quale gli succedette ereditando le inestimabili tavole delle effemeridi grazie alle quali e per mezzo del suo ingegno ricavò le famose leggi che portano il suo nome e che descrivono le orbite con un’accuratezza superata solo nella prima metà del ‘900 da Albert Einstein con la teoria della relatività generale.

Al tempo della formulazione delle 3 leggi di Keplero [24; 25] (1608-1619) ancora mancava una stima delle dimensioni assolute in gioco nel sistema solare. Di fatto il sapere astronomico fino a quel tempo poteva fornire solo una scala relativa delle dimensioni avente come unità di base l’unita Astronomica (di seguito AU dall’inglese Astronomical Unit), che equivale alla distanza media Terra-Sole (1AU=149.597.870.700 m o 149.597.870,700 km) [26], 150 milioni di km e il raggio terrestre.

Trivia:
In realtà tutti questi personaggi fecero delle stime assolute ma queste erano talmente erronee, per difetto, che possiamo considerarle non valide. Ipparco calcolò l’AU essere pari a 1.245 raggi terrestri (
), Tolomeo la stimò in , secondo Copernico ammontava a , meno di 10 milioni di km e stando Tycho e Keplero rispettivamente 8 milioni di km e 24 milioni di km. Oggi sappiamo che equivale a  o, come già scritto, poco meno di 150 milioni di km.

Da Aristarco dovettero passare circa 18 secoli prima che una misura dell’AU ad opera degli astronomi Christiaan Huygens [27] e Giovanni Domenico Cassini [28] raggiungesse un buon grado di accuratezza. Siamo nella seconda metà del  secolo E.V. e finalmente abbiamo una misura dell’AU con un errore del 7% rispetto a quella odierna. Il sistema solare inizia ad avere misure assolute ragionevolmente corrette. L’accuratezza della loro stima soffriva a causa di un errato assunto circa il diametro di Venere che era stato considerato pari a quello terrestre mentre in realtà è circa il 5% più piccolo.

Nuovamente nel secondo decennio del  secolo Edmond Halley [29] propose di utilizzare i transiti di Venere per poter stimare l’AU in base alla parallasse. Nel 1761 più spedizioni s’imbarcarono nell’impresa non senza rischi e sacrifici da parte degli studiosi stessi. Nonostante il caloroso appello alla collaborazione di Halley stesso, guerre e conflittualità intellettuali non aiutarono. Il suo metodo tuttavia si basava su alcuni assunti da altri ritenuti errati. Alcune migliorie furono apportate dal francese Delisle [30] (“protégé” di Cassini padre)  il quale dimostrò errati i calcoli del concorrente circa la zone di osservazione e propose un metodo alternativo che teneva in conto anche dei tempi assoluti del transito. Tuttavia anche questo metodo soffriva del fenomeno noto come “goccia nera” [31; 32; 33] che si manifesta immediatamente dopo il secondo  e subito prima del terzo contatto e che rendeva, e rende ancora, la determinazione di questi istanti incerta. Ad oggi il meccanismo alla base di questo fenomeno [34] per quanto sia meglio compreso non è ancora del tutto spiegato in quanto i fenomeni fisici che lo causano sono vari e differiscono da caso a caso.

Trivia:
Non dimentichiamo che al tempo la determinazione anche delle mere coordinate geografiche era a dir poco MOLTO più problematica rispetto all’oggi e anche solo questa richiedeva una serie di calcoli e misure inevitabilmente afflitte da errori che andavano cumulandosi man mano che si risaliva la scala dei nessi logici di tutto il processo.
Halley annovera comunque fra le sue scoperte anche quella del moto proprio delle stelle fisse, un risultato  che fu raggiunto confrontando le sue misure astrometriche con quelle dell’Almagesto [35] scritto a metà del  secolo da Tolomeo.
Extra: per chi fosse interessato propongo questo interessante excursus dell’avventura personale e scientifica relativa all’osservazione del transito di Venere del 1761. Link [36].

Per la prima misurazione della distanza di una stella si dovette aspettare il 1838, anno in cui l’astronomo e matematico tedesco Friedrich Wilhelm Bessel [37] riuscì nell’impresa. La stella in questione è 61 Cygni (61 Cyg), anche nota come stella di Bessel, e la distanza misurata era di 10,4 anni luce (ly) contro gli 11,36 ly o 63.241 AU della stima più attuale. 61 Cyg è una delle stelle più prossime al Sole e il primato di vicinanza va però ad Alpha Centauri (α Cen) con soli 4,365 ly.

Con la sua opera Fundamenta Astronomiae (titolo completo: Fundamenta astronomiae pro anno 1755 deducta ex observationibus James Bradley in specula astronomica Grenovicensi per annos 1750-1762 institutis) Bessel fondò la moderna astrometria. Per chi fosse interessato l’opera è acquistabile [38] alla modica cifra di circa 1500€.

Parallasse, si ma quale?

A questo punto della narrazione abbiamo esposto diverse tecniche di parallasse senza però darne menzione. Abbiamo cominciato con la parallasse lunare per poi descrivere metodo della parlasse diurna in cui i diversi punti di osservazione sono dislocati sulla superficie del globo. Il gradino successivo è la parallasse annua in cui i punti di osservazione sono dislocati lungo l’orbita che la nostra biglia blu compie attorno al Sole. Al limite, e semplificando, questi due punti giacciono sull’orbita terrestre agli antipodi l’uno rispetto all’altro. Più i punti di osservazione sono distanti l’uno dall’altro più le osservazioni saranno precise anche con oggetti più distanti ed è per questa ragione che si è poi approdati alla parallasse secolare che disloca i punti di osservazione in diversi punti dell’orbita non del nostro pianeta ma della sua stella lungo il suo peregrinare all’interno della Galassia. Ovviamente più le osservazioni sono lontane nel tempo più ampia è la base di osservazione e più in la ci si potrà spingere con le misure. Altre varianti sono la parallasse statistica, che può spingersi fino a circa 500 parsec (pc) di distanza, la parallasse di gruppo, la parallasse di ammasso mobile e il fit di sequenza principale.  Di queste ultime quattro tecniche eviterò di descrivere i dettagli.

Figura 3: Rappresentazione dello spostamento apparente di una stella vicina rispetto allo sfondo delle “stelle fisse” dovuto al movimento orbitale della terra attorno al suo astro. Le proporzioni sono volutamente falsate per meglio poter esporre il concetto.
Credit: ohio-state.edu; https://www.astronomy.ohio-state.edu/pogge.1/Ast162/Unit1/distances.html [39]

Pur con le sue limitazioni relative soprattutto alla rifrazione atmosferica, almeno prima dell’avvento dell’astronomia dallo spazio, il metodo della parallasse ha il vantaggio di non necessitare alcuna supposizione circa la natura dei corpi in esame; essa si basa puramente su calcoli orbitali e trigonometria. Per potersi spingere un po’ più in la si è dovuto aspettare i contributi di Ejnar Hertzsprung [40] e Henry Norris Russell [41] sotto forma del diagramma che porta le loro iniziali per nome (il diagramma H-R) [42; 43; 44] e di un lavoro del 1943 [45] dei ricercatori William Wilson Morgan [46] e Philip Childs Keenan [47] basato sul summenzionato diagramma e che è noto come sistema M-K o MKK (la terza lettera sta per Edith Kellmann [48]). Era nata la parallasse spettroscopica. A dispetto del nome questa tecnica NON  utilizza la misura della parallasse. Essa rende invece possibile fare una stima della magnitudine assoluta di una stella grazie al suo spettro e, conoscendone la magnitudine apparente, di calcolarne la distanza. Semplificando enormemente: grazie al diagramma HR, dallo spettro e dal colore si può risalire alla classe di luminosità; per le stelle della sequenza principale dal colore si può risalire alla luminosità assoluta e misurando quella apparente si può infine calcolare il modulo della distanza. Questo metodo spinse la determinazione delle distanze fino a circa 10kpc (kpc = kiloparsec = 1.000 parsec). I fattori di errore non mancano di certo, uno fra tutti la determinazione di cosa può essere considerato una candela standard, [49; 50] e la qualità delle indagini spettroscopiche doveva ancora progredire ma il metodo risultò essere valido.

The luminosities,  when calibrated, will make possible the determination  of accurate spectroscopic parallaxes on low-dispersion  spectrograms.”
Cit: An Atlas of Stellar Spectra. Nature 152, 147 (1943). https://doi.org/10.1038/152147a0 https://www.nature.com/articles/152147a0 [51]

A questo punto della narrazione iniziamo ad avere delle stime in termini assoluti delle distanze sia interne che esterne al sistema solare. Per delle misure più accurate gli astronomi avevano però bisogno di nuove tecnologie. Per quanto riguarda la parallasse i progressi furono da una parte limitati e proporzionali all’incremento delle prestazioni degli strumenti terrestri e dall’altro poterono sfruttare le enormi potenzialità delle sonde spaziali e dei cataloghi di dati che esse hanno prodotto e ancora producono. Fra questi cito le missioni:

  • Hipparcos (ESA 1989), 117.995 stelle, raggio 300 ly, precisione 0.001”
  •  Catalogo Tycho-2 (NASA 1997) 2.500.000 stelle, meno preciso del precedente
  • Gaia (ESA 2013), 1.000.000.000 stelle, raggio 300.000 ly, precisione 0,00001”
  •  Nancy Grace Roman Space Telescope (NASA 2027?)

Trivia:
La sonda Gaia ci ha fornito dati di parallasse fino ad una distanza di circa 30.000 ly. Se si considera che l’intera Galassia ha un diametro stimato di circa 100.000 ly si capisce la portata di questa banca dati. Di fatto ha mappato l’1% della popolazione stellare della Galassia. I dati di Hipparcos e del catalogo Tycho-2 vengono utilizzati per diversi software e mapper stellari fra cui anche il popolare Google Sky Map [
83].

L’anello successivo di questo lungo concatenamento di tecniche che si reggono le une alle altre è lo studio delle variabili pulsanti cioè quelle stelle la cui luminosità varia ciclicamente nel tempo. La loro scoperta risale al 1908 ad opera di Henrietta Swan Leavitt [52] la quale pubblicò la scoperta in un articolo dello stesso anno [54] e successivamente in un altro nel 1912 [55]. Fra i tipi di stelle variabili utili alla costruzione della scala delle distanze cosmiche cito solo le Cefeidi (stella prototipo Delta Cephei / δ Cep / δ Cephei) e le RR Lyrae (che è la stella prototipo). Le prime si scoprirà poi essere divise in vari sottotipi dei quali allo scopo di questa narrazione sono importanti solo quelle di tipo I e di tipo II mentre quelle anomale e le double-mode non sono pertinenti. La peculiarità di queste stelle è il fatto che il loro periodo di pulsazione e la luminosità media sono, non solo regolari, ma direttamente correlati in modo che ad un maggiore periodo di pulsazione corrisponde una maggiore luminosità media. Questa concordanza è oggi chiamata relazione PL. Più avanti fu incorporata nel calcolo anche una misura del colore nella relazione PLC.

Essendo le cefeidi individuabili anche a distanze extragalattiche  sono ottimi soggetti da osservare per poter effettuare misure in termini assoluti oltre i confini della Via Lattea. Lo stesso Edwin P. Hubble [56] ne identificò nella galassia di Andromeda mentre il telescopio spaziale che porta il suo nome, lo Hubble Space Telescope [57] o HST, che tanti di noi ha fatto sognare e appassionare, ne ha trovate anche nell’ammasso della Vergine a 60 milioni di ly da noi.

Figura 4: Diversi tipi di stelle variabili rappresentate nel diagramma HR.
Credit: Resus, derivate work: Kirk39 -  CC BY-SA 3.0

Vedremo più avanti cosa significa, o non significa, parlare di distanze quando si ha a che fare con scale talmente grandi. Appurata questa possibilità non restava che calibrare qualche cefeide vicina con il metodo della parallasse per poi poter utilizzare quelle più lontane come candele standard in modo da estendere il raggio delle misure al livello extragalattico.

Non mancarono però i problemi in quanto solo in un secondo momento, come già accennato, ci si rese conto dell’esistenza di diversi tipi di cefeidi. La mancanza di questa informazione portò ad alcuni errori nelle prime stime che furono poi corretti.

Trivia:
Fate attenzione a distinguere “la” Galassia da una galassia qualunque. Con la G (maiuscola) si intende solo la Via Lattea, la nostra Galassia ospite mentre tutte le altre sono galassie con la g (minuscola). Similmente “la” Luna è il nostro satellite naturale mentre tutte le altre sono lune. Questo fatto ha una ragione storica in quanto agli albori degli studi astronomici e astrologici, no non ho scritto un sacrilegio esecrando e inverecondo, si pensava che tutto l’universo fosse la nostra Galassia e che la Luna fosse l’unica luna. Il dibattito sugli universi isola, le altre galassie, che ebbe fra i suoi protagonisti principali Shapley e Curtis e la loro natura extragalattica fu “
dovrei utilizzare il participio passato di dirimere ma non è in uso” [58] da Hubble nel 1924.

Il Tip of the Red Giant Branch Method (in breve metodo TRGB) è un procedimento completamente indipendente per determinare le distanze delle galassie vicine con una precisione paragonabile a quella delle Cefeidi che consiste nel misurare la magnitudine delle stelle all'estremità del ramo della giganti rosse nel diagramma HR. Questo metodo utilizza la discontinuità, teoricamente ben compresa e ben definita dall'osservazione, nella funzione di luminosità delle stelle che evolvono lungo il ramo delle giganti rosse in popolazioni stellari antiche e povere di metalli. Un suo punto a favore rispetto all’osservazione delle cefeidi è la sua efficienza rispetto al tempo di osservazione in quanto non richiede l’attesa di un intero ciclo di luminosità. La sua calibrazione è stata fatta sugli ammassi globulari galattici.

Un passo più in là nella determinazione delle distanze cosmiche troviamo la Relazione di Tully-Fisher. Una legge empirica tra la luminosità intrinseca di una galassia a spirale [61] e la sua velocità di rotazione massima. Tralascerò di approfondire questo argomento perché alcuni suoi dettagli porterebbero troppo fuori tema. In soldoni, dalla curva di rotazione che descrive la variazione delle velocità orbitali delle stelle in funzione della loro distanza dal centro galattico si può ricavare la velocità massima di rotazione della galassia in esame. Da questa si ricava la luminosità assoluta dalla quale poi si ricava la distanza. Nel mezzo vi è una complicazione nota come materia oscura senza la quale le curve di rotazione osservate non avrebbero senso, inoltre la Relazione di Tully-Fisher è dipendente dalla lunghezza d’onda in esame e può arrivare ad un grado di accuratezza della stima del 5%.

Semplificando possiamo dire che si è osservato che nelle galassie le stelle ruotano ad una velocità tale da dover sfuggire all’attrazione gravitazionale della loro galassia ospite, o almeno dovrebbero, stando alla quantità di materia che possiamo osservare. La discrepanza fra la quantità di materia osservata e quella dedotta dall’effetto gravitazionale è enorme. Per ovviare a questo problema si è ipotizzato che possa esistere un qualche tipo di materia invisibile (ma che noi chiamiamo oscura perché non siamo bravi a tradurre dall’inglese) che non interagisce se non per via gravitazionale. Un’alternativa alla materia oscura (DM dall’inglese dark matter) [62] sono le ipotesi MOND (MOdified Newtonian Dynamics) che vorrebbero che le dinamiche gravitazionali non seguissero strettamente la legge dell’inverso del quadrato della distanza, almeno non su tutte le scale. Le MOND sembrano però essere inconclusive e le evidenze sono tutte a favore della DM [59] per quanto non si abbiano altro che ipotesi sulla sua natura e nessun esperimento l’ha finora trovata.

Trivia:
In quest’ultimo lavoro sulla MOND è stato introdotto un nuovo parametro chiamato dagli autori . Il valore trovato  esclude la MOND con una fiducia di 16σ ovvero vi è una possibilità su  100,000 miliardi di miliardi di miliardi di miliardi ( ) che il risultato sia una dovuto a una fluttuazione statistica.

Per le galassie ellittiche [60] invece abbiamo la relazione Faber-Jackson, la relazione di Kormendy, la relazione D-σ (da leggere D-sigma) e il piano fondamentale. Le prime tre tecniche, a causa del loro elevato errore intrinseco, non possono essere utilizzate per la determinazione della distanza di galassie che non ospitino candele standard. In generale però le galassie ellittiche, in quanto vecchie, non contengono cefeidi.

  1.  La prima lega la luminosità assoluta  di una galassia ellittica con la dispersione di velocità delle sue stelle. L’errore sulle distanze è però di circa il 30%.
  2.   La seconda lega il raggio effettivo con la luminosità effettiva della galassia.
  3.  La terza mette in relazione il diametro di luminosità e la dispersione di velocità con un errore circa uguale o superiore al 25%
  4.  Il quarto mette in relazione dispersione di velocità, luminosità assoluta e raggio effettivo in un  modo tale che la relazione biparametrica fra i logaritmi di questi valori sia costante. Questi valori possono essere interpretati come coordinate 3D di  un piano detto appunto fondamentale sul quale giacciono tutte le galassie ellittiche. Questa tecnica può essere utilizzata per la stima delle distanze fino a circa 1Gpc con un errore del 5%.

Un altro metodo utilizza i maser come candele standard fino a centinaia di Gpc di distanza. I MASER (microwave amplification by stimulated emission of radiation, ovvero amplificazione di microonde tramite emissione stimolata di radiazioni) sono concettualmente simili ai laser. Ve ne sono di due tipi: quelli stellari e i megamaser [63] che invece son legati agli AGN. Il loro utilizzo come candele standard, soprattutto al fine di determinare la costante di Hubble, implica la misurazione del redshift ed è piuttosto complicata. Su questi argomenti però mi soffermerò più avanti.

Il successivo elemento di questo concatenamento è, come prevedibile, un’altra candela standard con la differenza che questa volta l’oggetto in questione è una stella morente che esala il suo ultimo potentissimo gemito. Stiamo parlando di una diva delle scienze astronomiche che meritatamente suscita un enorme interesse fra il pubblico di appassionati: la supernova. Una supernova è un’esplosione stellare che per un breve lasso di tempo può superare in luminosità la sua galassia ospite. È uno dei fenomeni più energetici che si conoscano e può essere osservata in galassie estremamente lontane. Il primato al momento in cui scrivo (Novembre 2023 E.V.) spetta a  SN 1000+0216 [64], una supernova (SN) super luminosa (SLSN) con un redshift z=3,8993±0,0074 e una magnitudine assoluta con il picco nel lontano ultravioletto di -21,5. Più avanti capiremo perché è preferibile utilizzare il redshift al posto della distanza in ly o pc o multipli di queste unità di misura. Esistono diversi tipi di  supernovae (SNe) ma a noi interessano solo quelle di tipo specifico: le supernovae Ia (da leggere 1a).

Figura 5: Albero della classificazione delle supernovae.
Credit: © Swinburne University of Technology https://astronomy.swin.edu.au/cosmos/S/Supernova+Classification [65]

Lo schema di classificazione delle supernova Minkowski-Zwicky [65; 66] oggi ha una ragion d’essere più storica che altro in quanto è stato costruito mano a mano che si scoprivano supernovae con caratteristiche spettrali diverse, quali righe di assorbimento o emissione specifiche che erano presenti o assenti in uno o nell’altro tipo. Oggi la suddivisione principale è fra supernovae da collasso nucleare (tipo II) e termonucleari (tipo I).

La peculiarità di quelle del tipo Ia di essere ottime candele standard è dovuta al meccanismo che porta alla loro esplosione. Queste hanno origine in sistemi binari in cui almeno uno dei due corpi è una nana bianca che sottrae gravitazionalmente materiale alla compagna fino al raggiungimento di 1,4  (masse solari) che è un valore critico conosciuto col nome di limite di Chandrasekhar dal nome del matematico indiano Subrahmanyan Chandrasekhar [67] che nel 1931 lo teorizzò in una articolo dal titolo oltremodo esplicativo “The Maximum Mass of Ideal White Dwarfs” [68] pubblicato su Astrophysical Journal, vol. 74, p.81, 22 July 1931.

Figura 6: Copertina del volume 74 di Astrophysical Journal in cui S. Chandrasekhar pubblicò l’articolo in cui descriveva la sua teoria circa la massa limite delle nane bianche.
Credit: The Astrophysical Journal [69]
https://articles.adsabs.harvard.edu/pdf/1931ApJ....74...81C, provided by: American Astronomical Society - Provided by the NASA Astrophysics Data System
 

Oggetti astronomici visibili da distanze superiori a quelle delle SNe Ia sono i quasar (QUASi-stellAR radio source, radiosorgente quasi stellare) []. Questi mostri spaziali sono una sottocategoria dei nuclei galattici attivi (AGN) la cui “forza” è alimentata dai buchi neri supermassicci (SMBH dall’inglese Supermassive Black Hole). Ad oggi il primato di distanza spetta a UHZ1 [72] con z=10,3 il che significa che questo oggetto ci illumina da quando l’universo aveva appena il 3% della sua età attuale, ovvero 450Myr dopo il Big Bang.

Esiste un fenomeno che agisce come una lente d’ingrandimento e che saltuariamente permette di osservare oggetti che altrimenti sarebbero irraggiungibili dai nostri strumenti: la lente gravitazionale. Il meccanismo che lo regola fu scoperto da Albert Einstein e descritto grazie alla sua teoria della relatività generale (GR). In poche parole ogni massa incurva lo spaziotempo. In queste condizioni la linea più breve che un raggio di luce possa compiere da un punto ad un altro non è più, almeno dal nostro punto di vista di osservatori esterni, una retta ma una geodetica ovvero un percorso “curvo”. Questi percorsi fanno in modo che lo spaziotempo attorno ad oggetti sufficientemente massicci agisca da lente amplificando la luce di sorgenti retrostanti. Ovviamente una condizione necessaria è che la sorgente, la lente e l’osservatore siano estremamente ben allineati.

A onor del vero la misura della parallasse è solo uno degli strumenti che l’ingegno umano ha ideato al fine di risolvere questo annoso dilemma. Un’altra tecnica di precisione è figlia sia della ricerca di base che di quella applicata militare: mi riferisco al RA.D.A.R. la cui storia inizia nel 1886 ad opera di Heinrich Hertz [73] il quale scoprì  che le onde radio potevano essere riflesse da un corpo solido.

I passaggi successivi furono il telemobiloscopio di Christian Hülsmeyer (1904), il radiotelemetro di Guglielmo Marconi (1922-1933), l’RDF inglese e, infine, il RADAR statunitense. Le necessità militari furono fondamentali per lo sviluppo di questa tecnologia tanto che gli italiani non la presero in considerazione se non dopo la disfatta di capo Matapan (28-29 marzo 1941) in favore degli inglesi. La miglioria più importante concernente i fini di questa narrazione è il passaggio dall’RDF (range and direction finding) al RADAR (radio detection and ranging). La prima delle due tecnologie stabiliva solo da direzione del bersaglio mentre la seconda era in grado di fornire anche una misura della distanza.

Il funzionamento di un radar è concettualmente semplice: un fascio di onde radio viene emesso da un’antenna e la misurazione riguarda il tempo di andata e ritorno di questo dall’antenna al bersaglio. Conscendo la velocità di propagazione del segnale è possibile calcolare la distanza da esso percorsa.

È ora chiaro dove si stia andando a parare.

I primi usi astrometrici del radar avvennero nella seconda metà degli anni ’40 del  secolo e interessarono la Luna, seguirono poi i pianeti e altri numerosi oggetti minori del sistema solare per arrivare, al limite, alla distanza di Saturno. Il grado di accuratezza di queste misure non aveva eguali fino a quel momento ma era limitato a corpi relativamente vicini. Oggi una tecnica sorella viene utilizzata per la telemetria delle sonde Voyager 1 e 2 la quale è anche consultabile in tempo reale grazie a una pagina web dedicata [74] della NASA. La differenza in questo caso è che il tempo di viaggio del segnale in arrivo dalle sonde può essere misurato perché su di esse e a terra sono installati degli orologi atomici straordinariamente ben sincronizzati. Stiamo parlando di sonde che hanno raggiunto i confini del sistema solare i cui segnali vengono captati dalle antenne del Deep Space Network [75] (DSN) ed elaborati dal Jet Propulsion Laboratory [76] (JPL). Uno di questi centri di ricezione si trova in Italia. In questo caso è più semplice esprimere le distanze in tempo luce o in AU piuttosto che in km ma su questo tornerò più avanti.22th

Trivia:
In realtà il concetto di confine del sistema solare non è univocamente definito. Una vecchia definizione identificava questo confine con gli oggetti più lontani gravitazionalmente legati alla nostra. Stiamo parlando della nube di Öpik-Oort [77] (dai nomi degli astronomi Ernst Julius Öpik [78] e Jan Hendrik Oort [79]). Un'altra definizione vuole che il confine sia l’eliopausa [80] ovvero la regione di spazio in cui il vento solare prende il sopravvento contro il mezzo interstellare; questo è possibile anche grazie alla mappatura tridimensionale dell’eliosfera [81]. Un'altra tesi sostiene che il confine debba coincidere con il limite, il bow shock  [82], dell’eliomagnetosfera. Altri ancora credono che questo confine dovrebbe coincidere con la superficie in cui il campo gravitazionale del Sole e quello delle sue stelle vicine sono in equilibrio. Ognuna di queste definizioni vanta pregi e soffre difetti ma non esiste un consenso unanime su quale sia preferibile.

Figura 7: Rappresentazione in scala logaritmica della struttura del sistema solare con i corpi celesti NON in scala.
Credit: NASA / JPL – Caltech https://photojournal.jpl.nasa.gov/catalog/PIA17046

Figura 8: Credit: NSSA / JPL https://voyager.jpl.nasa.gov/news/details.php?article_id=20 

Il successivo piolo di questa scala della conoscenza è la misura del redshift.

Ricapitolando

Grazie alla parallasse abbiamo misurato la distanza delle stelle del vicinato galattico prossimo per poi scoprire le cefeidi che ci hanno permesso di estendere il raggio di azione fino alle galassie più prossime nelle quali abbiamo osservato delle supernovae.

Ogni tecnica è servita a calibrare quella successiva. Quindi:

  • Abbiamo utilizzato la parallasse per determinare la distanza delle cefeidi vicine fino a che non abbiamo capito che queste sono buone candele standard.
  • Grazie a questo abbiamo potuto dedurre la distanza delle cefeidi più lontane.
  • Poi abbiamo osservato delle supernovae nelle stesse galassie ospiti delle cefeidi più lontane. In questo modo ne abbiamo determinato la distanza e una volta capito che anche le SNe di tipo Ia sono ottime candele standard abbiamo potuto determinare la distanza di quelle più lontane.
  •  Di queste si è potuto determinare il redshift che è misurabile fino a distanze enormi che si spingono quasi al limite dell’osservabile in banda elettromagnetica e che ai fini di questa narrazione è legato a doppio filo alla legge di Hubble.

Trivia:
La scoperta della legge di Hubble ha portato ad una delle più grandi controversie in seno alle scienze astronomiche. In astronomia una controversia (scientifica) viene chiamata “tensione”. (Gli astronomi hanno meritatamente guadagnato la loro nomea circa la capacità di dare un nome alle cose ovvero il non aver fantasia) La “tensione” riguarda la costante di Hubble che è espressa in
. Il problema è che le due principali e più accurate misure di questo valore, una basata sulla misura delle SNe e l’altra sulla CNB forniscono risultati fortemente discordanti. All’inizio i due valori si sovrapponevano leggermente nel loro intervallo di errore e questo faceva supporre e sperare che future e più precise misurazioni e tecniche analitiche avrebbero portato le due stime se non a coincidere per lo meno a convergere. Invece ora i due valori sono nettamente separati pur considerando i rispettivi margini di errore che col tempo si sono effettivamente molto ridotti. La ragione per cui questa tensione è di estrema importanza è il fatto che la costante di Hubble ( ) ci da un “metro” per la determinazione della dimensione dell’universo stesso.

Ora resta da capire cosa sia esattamente il redshift e determinarne la portata.

Il redshift, in italiano spostamento verso il rosso, è lo spostamento delle frequenze elettromagnetiche verso bande più basse. In astronomia e cosmologia le cause principali di questo slittamento delle frequenze sono:

  • il movimento reciproco delle sorgenti irradianti che sfocia nello spostamento doppler relativistico;
  • i pozzi gravitazionali che determinano il redshift gravitazionale;
  • il moto di recessione di tutti i corpi a distanze “cosmologiche” che dà origine al redshift cosmologico. Quest ultimo fatto, noto come legge di Hubble, implica che l’universo è in espansione.

Figura 9: Un'infografica intitolata “JWST Advanced Deep Extragalactic Survey, JADES; Webb Spectra Read New Milestone in Redshift Frontier; NIRCam Imaging and NIRSpec Microshutter Array Spectroscopy”. A sinistra c’è un’immagine NIRCam del campo, pieno di galassie di diversi colori, forme e dimensioni. A destra ci sono quattro grafici a linee corrispondenti a quattro galassie in evidenza. Mostrano lo spostamento nella posizione di una caratteristica spettrale chiamata Lyman passare a lunghezze d’onda maggiori man mano che lo spostamento verso il rosso aumenta.
Credit: NASA, ESA, CSA, M. Zamani (ESA/Webb), Leah Hustak (STScI), Brant Robertson (UC Santa Cruz), S. Tacchella (Cambridge), E. Curtis-Lake (UOH), S. Carniani (Scuola Normale Superiore), JADES Collaboration, https://esawebb.org/images/JADES1/ [84]

Figura 10: Credit: Robertson, B.E., Tacchella, S., Johnson, B.D. et al. Identification and properties of intense star-forming galaxies at redshifts z > 10. Nat Astron 7, 611–621 (2023). https://doi.org/10.1038/s41550-023-01921-1  [85]

Il redshift può essere determinato per via fotometrica o spettroscopica ma a noi interessa solo la seconda di queste tecniche ossia quella del redshift spettroscopico in quanto più precisa. Di fatto questa tecnica, qualora possibile, viene utilizzata come conferma per le misurazioni di redshift fotometrico. Un esempio fra tutti è quello di F200DB-045 [86] che se confermato spettroscopicamente avrebbe un redshift . Un’enormità oltre l’attuale guinness che è detenuto da JADES-GS-z13-0 [87] osservato dal JWST e avente un redshift spettroscopio .

Figura 11: Confronto fra uno spettro continuo(in alto a sinistra), uno con linee di assorbimento (in alto a destra) e uno con linee di emissione (in basso al centro).
Credit: © 2005 Pearson Education Inc., publishing as Addison-Wesley [88]

Figura 12: Rappresentazione schematica delle linee spettrali spostate nel blu e nel rosso. Credit: NASA.

La tecnica del redshift spettroscopico va ad indagare le linee di emissione e assorbimento che sono tipiche di ogni sostanza e ne misura lo “spostamento”. Hubble scopri che lo spostamento è proporzionale alla velocità di recessione dell’oggetto sorgente la quale è proporzionale alla sua distanza dall’osservatore. Lo slittamento dello spettro elettromagnetico può anche avvenire nel verso opposto e cioè verso frequenze più alte e lunghezze d’onda più minute e in questo caso si parla di blueshift. Questo può succedere per quei corpi celesti che invece che recedere mostrano un moto relativo in avvicinamento rispetto all’osservatore.

Trivia:
In alcune galassie opportunamente orientate con l’asse di rotazione fortemente inclinato rispetto alla visuale si è osservato un diverso valore di redshift ai lati opposti rispetto al nucleo. Questo è dovuto al fatto che essendo le galassie in rotazione in un lato le stelle si muovono vero di noi mentre nel lato opposto esse orbitano nel verso opposto. Al netto del movimento relativo della galassia intera rispetto a noi e conoscendo questo valori di redshift si può calcolare la velocità di rotazione delle stelle nella loro galassia ospite. Alcune di queste osservazioni hanno avuto “a dir poco” interessanti conseguenze. Una di queste ci ha portati a teorizzare che la materia di cui siamo fatti, quella barionica, costituisce appena il 5% circa della massa dell’universo.

L’effetto Sunyaev-Zel’dovich [89; 90] (SZ effect) [91] provoca un cambiamento nella luminosità apparente della radiazione cosmica di fondo nella direzione di un ammasso di galassie o qualsiasi altro serbatoio di plasma caldo. È utile per la determinazione della costante di Hubble.

Altre tecniche utili allo stesso fine sono:

  • Surface Brightness Fluctuations
  • Gravitational Lens Time Delay
  • Luminosity of Giant HII (da leggere H2) Regions.
  • Cosmic Microwave Background and Baryonic Acoustic Oscillations

Il titolo di questo articolo recita “Il problema delle distanze in astronomia”. La scelta della parola “problema” non è casuale e come già accennato oltre un certo limite questa perde di significato o per lo meno assume un significato vago, mal definito.

Per capire cosa intendo sono necessarie alcune premesse. Anzitutto il contesto ovvero un universo NON statico ma in espansione. Questo fatto implica che dal momento in cui una sorgente emette della luce al momento in cui quest’ultima raggiunge i nostri telescopi la sorgente stessa si è allontanata. Possiamo quindi parlare di:

  • Proper distance now
  • Proper distance then
  • Light travel distance
  • Comoving distance
  • Luminosity distance
  • Angular diameter distance

Non possiamo trascurare il non banale fatto che quando si parla di distanza si dovrebbe prima di tutto essere in accordo sul quadro di riferimento. Per fare un esempio la distanza comovente fornisce una stima che non cambia nel tempo a causa dell’espansione dell’universo.

Le proper distance now e then ci danno una stima della distanza dell’oggetto rispettivamente al presente e al momento dell’emissione della radiazione nel quadro di riferimento di un osservatore che è a riposo rispetto alla sorgente e utilizzando un regolo standard. Lo so che suona come un tecno bla-bla ma non lo è.

In seno alla relatività ristretta la proper distance tra due eventi separati nello spazio è la distanza tra di essi misurata in un sistema di riferimento inerziale in cui questi sono simultanei. Quando si cita la “simultaneità” si scoperchia un vaso di pandora perché il suo significato fisico, quello profondo e più legato alla “realtà” che alla sua percezione, è assolutamente controintuitivo. Successivamente ci toccherebbe aprire un secondo vaso di pandora per capire cosa è “reale” e cosa questo significhi nell’accezione epistemologica [92; 93] del termine. Non che la definizione volgare sia univoca. Insomma, abbiamo capito dove voglio andare a parare: la questione è più complicata di come sembra e credo che proprio questa caratteristica renda il tutto ancora più interessante.

A questo punto della narrazione ci siamo avvicinati moltissimo al limite di ciò che è conoscibile tramite la misurazione di fotoni ovvero le particelle portatrici della forza elettromagnetica e della luce. Questa barriera corrisponde al momento della ricombinazione avvenuto circa 380.000 anni dopo il tempo 0 da non confondere col big bang. In quel momento il brodo di elettroni e protoni si raffreddò a sufficienza da permettere la formazione dei primi atomi neutri e quindi trasparenti alla luce. Nessuna luce antecedente a quel momento si è propagata liberamente e la prima luce libera dell’universo ci arriva oggi ad una lunghezza d’onda molto spostata verso il rosso, molto oltre il rosso, nella banda delle microonde ad un frequenza che corrisponde ad una temperatura di 2,72548±0,00057K ovvero -270C° circa. Questa radiazione anche nota come radiazione fossile ha un redshift Z 1.100

Trivia:
Il big bang non è il momento della formazione / nascita dell’universo ma un modello (una serie di modelli in realtà) che ne descrive l’evoluzione non dissimilmente da come in biologia la teoria dell’evoluzione darwiniana non descrive l’abiogenesi ma l’evoluzione delle forme viventi una volte che la vita stessa era nata. Al momento il modello più accreditato presso la comunità degli specialisti è il ΛCDM [94] (da leggere Lambda-CDM ove CDM sta per Cold Dark Matter ovvero materia oscura fredda che in questo contesto significa non relativistica). Questo modello descrive un universo piatto, quindi con una geometria euclidea,  composto al 95% da energia e materia oscura e al 5% dalla materia barionica di cui ho accennato prima.

Osservazioni più profonde non possono più essere legate alla luce ma devono affidarsi a quelli che in astronomia vengono chiamanti altri “messaggeri”. In particolare i neutrini e le onde gravitazionali delle quali ho scritto qui e qui e delle quali appena possibile terminerò la narrazione [95; 96].

Figura 13: Questa illustrazione riassume la storia lunga quasi 14 miliardi di anni del nostro Universo. Mostra i principali eventi accaduti tra la fase iniziale del cosmo, dove le sue proprietà erano quasi uniformi e punteggiate solo da minuscole fluttuazioni (quantistiche), fino alla ricca varietà di strutture cosmiche che osserviamo oggi: stelle e galassie. La serie di riquadri sul lato destro dell'illustrazione ingrandisce la struttura cosmica su larga scala per rivelare prima un ammasso di galassie, poi una galassia a spirale simile alla nostra Via Lattea e infine il Sistema Solare. [97]
Credit: ESA – C. Carreau https://www.esa.int/ESA_Multimedia/Images/2013/03/Planck_history_of_Universe

Spero di essere riuscito a trasmettere la complessità e la meraviglia che sono celate dietro un concetto apparentemente banale e ovvio come quello di distanza. Ad oggi sono più di due millenni che una pletora di studiosi da ogni parte del mondo ci lavora e nonostante questo straordinario sforzo ancora esistono numerosi fatti che sappiamo di non sapere e chissà quanti altri che nemmeno sappiamo di non sapere. Questa è l’avventura del progresso scientifico.

Figura 14: Scala delle distanze aggiornata e attuale, su idea originale di Ciardullo (2006).
Arancione chiaro: metodi di determinazione della distanza associati alla formazione stellare attiva (Popolazione I, stelle di massa intermedia e alta).
Verde chiaro: tracciatori di distanza associati agli oggetti Popolazione II / stelle di piccola massa.
Blu: metodi geometrici.
Rosso: le supernovae (SNe) Ia, la funzione di luminosità delle nebulose planetarie (PNe) (PNLF) e le fluttuazioni della luminosità superficiale (SBF) sono applicabili per l'uso con entrambe le popolazioni stellari: I e II.
Marrone chiaro: metodi di determinazione della distanza o di  che non sono immediatamente collegati ad una specifica popolazione stellare.
Riquadri tratteggiati: metodi proposti.
Frecce continue: calibrazioni ragionevolmente robuste.
Frecce tratteggiate: calibrazioni scarsamente consolidate.
B–W: Baade–Wesselink. RRL: RR Lyrae. RSGs/FGLR: Red supergiants/flux-weighted gravity–luminosity relationship. TRGB: Tip of the red-giant branch. GCLF: Globular cluster (GC) luminosity function. SZ: Sunyaev–Zel’dovich. CMB/BAO: Cosmic microwave background/baryon acoustic oscillations. Colour–magnitude relation: Refers to galactic colours and magnitudes. (adattato da de Grijs 2011) [98].
Credit: Advancing the Physics of Cosmic Distances Proceedings IAU Symposium No. 289, 2012 Richard de Grijs & Giuseppe Bono, eds; © 2012 International Astronomical Union; https://arxiv.org/pdf/1209.6529.pdf [99]

Alcune precisazioni doverose. Per quanto si parli di scala cosmica delle distanze, come pure in seno alla teoria dell’evoluzione darwiniana, quello delle successive scoperte in merito più che a un processo lineare assomiglia a un cespuglio o meglio a un “rovo”. Avrei potuto elencare le varie scoperte in diversi ordini: cronologico, di nesso causale l’una con la successiva o per l’intervallo di distanze entro le quali ogni tecnica può essere applicata in modo efficacie ma ho deciso di seguire un percorso misto che potesse meglio rendere l’idea della complessità del processo di accrescimento delle conoscenze scientifiche. Ho tralasciato molti interessanti aneddoti sia personali relativi gli studiosi implicati in questo processo che storici, alcuni perché non molto pertinenti e altri, semplicemente, per non dilungarmi eccessivamente rischiando di far perdere il filo al lettore. Spero di essere riuscito nell’impresa di trasmettervi con ciò che di questa storia mi ha appassionato.

Il testo contiene numerosi link, alcuni a Wikipedia, altri a siti governatici o privati quali NASA, ESA e università, pubblicazioni scientifiche peer reviewed [100], tesi di laura e siti divulgativi . Fate attenzione soprattutto a quelli di Wikipedia in italiano in quanto sulle questioni tecniche sono molto meno accurati rispetto ai corrispettivi in inglese. Ho addirittura trovato una voce Wikipedia italiana relativa ad un tema di meccanica orbitale che citava fra le fonti un sito di astrologia. Ancora mi vien da piangere. Per quanto riguarda le altre fonti provate a consultarle, soprattutto quelle primarie. Molte di esse sono estremamente tecniche e io stesso non posso capirle fino in fondo ma vi saranno utili sia per conoscere e capire la complessità sottostante certi temi che come spunto per altre letture.

Siate curiosi e pretendete le fonti.

Legenda:

Ly = anno luce (e multipli)
pc = parsec (e multipli)
SN = supernova
SNe = supernovae
SLSN = supernova super luminosa
SLSNe = supernovae super luminose
' = primo d’arco = 1⁄60 di grado
" = secondo d’arco = 1⁄60 di primo d’arco = 1⁄3.600 di grado
M = massa solare =   2 quettakilogrammi
E.V. = Era Volgare (alternativa a d.C.)
A.E.V. = Ante Era Volgare (alternativa ad a.C.)
Zs = redshift spettroscopico
Zp = redshift fotometrico
DM = dark matter
PN = planetary nebula, nebulosa planetaria
PNe = planetary nebualae, nebulose planearie
SBF = surface-brightness fluctuations
PNLF = planetary nebulae luminosity function
Yr = Year, anno (e multipli)
OWSL = one-way speed of light
TWSL = two-ways speed of light

Fonti e letture correlate e/o consigliate:

  1. ON THE ELECTRODYNAMICS OF MOVING BODIES By A. EINSTEIN June 30, 1905
  2. JaJanis, Allen, "Conventionality of Simultaneity", The Stanford Encyclopedia of Philosophy (Fall 2018 Edition), Edward N. Zalta (ed.) https://plato.stanford.edu/archives/fall2018/entries/spacetime-convensimul/
  3. Spavieri, G. On measuring the one-way speed of light. Eur. Phys. J. D 66, 76 (2012). https://doi.org/10.1140/epjd/e2012-20524-8
  4. Midasala, A. (2023). Theoretical Model of an Experiment to Test the Isotropy of the Speed of Light. European Journal of Applied Physics, 5(6), 62–69. https://doi.org/10.24018/ejphysics.2023.5.6.288
  5.  Veritasium, Why No One Has Measured The Speed Of Light, YouTube, https://www.youtube.com/watch?v=pTn6Ewhb27k
  6.   Random Physics, Vi dimostro che la luce viaggia alla velocità della luce, YouTube, https://www.youtube.com/watch?v=Q-vRfciaGr4
  7. Parallasse; in vocabolario Treccani, https://www.treccani.it/vocabolario/parallasse/
  8.  Metodologìa; in vocabolario Treccani, https://www.treccani.it/vocabolario/metodologia/
  9.  Mètodo; in vocabolario Treccani, https://www.treccani.it/vocabolario/metodo/
  10.  ESAHubble, Waltzind dwarfs, https://esahubble.org/images/potw1723a/
  11. Aristarco di Samo; in enciclopedia Treccani, https://www.treccani.it/enciclopedia/aristarco-di-samo/
  12.  Sulle dimensioni e distanze del Sole e della Luna, https://evangelosstamatis.files.wordpress.com/2012/04/1980-aristarchou-samiou-peri-megethon-kai-apostimaton-iliou-kai-selinis.pdf
  13.  Brahe, Tyge; in enciclopedia Treccani, https://www.treccani.it/enciclopedia/tyge-brahe/
  14. Ven (isola svedese); in Wikipedia IT, https://it.wikipedia.org/wiki/Ven_(isola_svedese)
  15. Uraniborg; in Wikipedia IT, https://it.wikipedia.org/wiki/Uraniborg
  16. Sophie Brahe; in Wikipedia IT, https://it.wikipedia.org/wiki/Sophie_Brahe
  17. Effemèridi; in Wikipedia IT, https://it.wikipedia.org/wiki/Effemeridi
  18. Sistema ticonico; in Wikipedia IT, https://it.wikipedia.org/wiki/Sistema_ticonico
  19. Maschiocentrismo; in vocabolario Treccani, neologismi 2023, https://www.treccani.it/vocabolario/neo-maschiocentrismo_%28Neologismi%29/
  20. Storia di Sophie Brahe, una scienziata vissuta nell'ombra, Scritto da Gabriele Vanin, Pubblicato: 15 Febbraio 2021, Caos Cultura, https://caos-cultura.ch/index.php/scienza/63-sophie-brahe
  21.  https://gbm.difa.unibo.it/paola/didattica/AA2019-2020/SdA/Lezione_24_a_cura_di_Maicol_DellaChiesa.pdf
  22. Maicol della Chiesa, La storia del Cosmo Un dialogo fra uomo e natura, UNIBO, https://gbm.difa.unibo.it/paola/didattica/AA2019-2020/SdA/Lezione_24_a_cura_di_Maicol_DellaChiesa.pdf
  23. Giovanni Keplero; in Wikipedia IT, https://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Keplero
  24.  Lorenzo Baglioni - Le Leggi di Keplero feat. I Supplenti Italiani, YouTube, https://www.youtube.com/watch?v=ge06Znj7hyk
  25. Orbits and Kepler’s Laws; NASA Science, https://science.nasa.gov/resource/orbits-and-keplers-laws/
  26. Bureau International des Poids et Mesures, The International System of Units (SI), https://www.bipm.org/documents/20126/41483022/SI-Brochure-9-EN.pdf
  27. Christiaan Huygens; in Wikipedia IT, https://it.wikipedia.org/wiki/Christiaan_Huygens
  28. Giovanni Cassini; in Wikipedia IT, https://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Cassini
  29. Edmond Halley, in Wikipedia IT, https://it.wikipedia.org/wiki/Edmond_Halley
  30. Joseph-Nicolas Delisle; in Wikipedia IT, https://it.wikipedia.org/wiki/Joseph-Nicolas_Delisle
  31.  Black drop effect; in Wikipedia ENG, https://en.wikipedia.org/wiki/Black_drop_effect
  32. Proceedings of the International Astronomical Union Volume 2004 Issue IAUC196 , June 2004 , pp. 242 253 DOI: https://doi.org/10.1017/S1743921305001420[Opens in a new window] NASA ADS Abstract Service The black-drop effect explained.
  33. Schaefer, B. E. (2001). The Transit of Venus and the Notorious Black Drop Effect. Journal for the History of Astronomy, 32(4), 325-336. https://doi.org/10.1177/002182860103200402
  34. American Astronomical Society Meeting 203, id.01.04; Bulletin of the American Astronomical Society, Vol. 35, p.1202; Explanation of the Black-Drop Effect at Transits of Mercury and the Forthcoming Transit of Venus, BIBcode: 2003AAS...203.0104P
  35. Almagesto; in Wikipedia IT, https://it.wikipedia.org/wiki/Almagesto
  36. L’infinito teatro del Cosmo; LA STORIA DELL'UNITÀ ASTRONOMICA (5): HALLEY INVOCA L'AIUTO DI VENERE; http://www.infinitoteatrodelcosmo.it/2021/07/20/la-storia-dellunita-astronomica-5-halley-invoca-laiuto-di-venere/
  37.  Britannica, Friedrich Wilhelm Bessel; https://www.britannica.com/biography/Friedrich-Wilhelm-Bessel
  38. AbeBooks; Fundamenta Astronomiae pro Anno MDCCLV deducta ex Observationibus Viri incomparabilis James Bradley in Specula Astronomica Grenovicensi per Annos 1750 - 1762 institutis; https://www.abebooks.com/servlet/BookDetailsPL?bi=19213562417&searchurl=an%3Dbessel%2Bfriedrich%2Bwilhelm%26sortby%3D17%26tn%3Dfundamenta%2Bastronomiae%2Bpro%2Banno%2Bmdcclv&cm_sp=snippet-_-srp1-_-title6
  39. Astronomy 162: Introduction to Stars, Galaxies, & the Universe, Prof. Richard Pogge, MTWThF 9:30, Lecture 5: Distances of the Stars, Readings: Ch 19, section 19-1; https://www.astronomy.ohio-state.edu/pogge.1/Ast162/Unit1/distances.html
  40. Ejnar Hertzsprung; in Wikipedia IT, https://it.wikipedia.org/wiki/Ejnar_Hertzsprung
  41. Henry Norris Russell; in Wikipedia IT, https://it.wikipedia.org/wiki/Henry_Norris_Russell
  42. Diagramma Hertzsprung-Russell; in Wikipedia IT, https://it.wikipedia.org/wiki/Diagramma_Hertzsprung-Russell
  43.  Stellar Evolution - Cycles of Formation and Destruction, Introduction to the H-R Diagram: Chandra X-ray Observatory, https://chandra.harvard.edu/edu/formal/stellar_ev/story/index3.html
  44. The HR Diagram: the 100th anniversary of Henry Norris Russell: Proceedings from IAU Symposium no. 80 held at the National Academy of Sciences, Washington, D.C., 2-5 November, 1977. Edited by A. G. Davis Philip and Donald S. Hayes. International Astronomical Union. Symposium no. 80, Dordrecht, Holland; Boston: D. Reidel Pub. Co., p.101; BIBcode: 1978IAUS...80..101G
  45. An Atlas of Stellar Spectra. Nature 152, 147 (1943). https://doi.org/10.1038/152147a0
  46.  William Wilson Morgan; in Wikipedia ENG, https://en.wikipedia.org/wiki/William_Wilson_Morgan
  47. Philip Childs Keenan; in Wikipedia ENG, https://en.wikipedia.org/wiki/Philip_Childs_Keenan
  48. Edith Kellman; in Wikipedia ENG, https://en.wikipedia.org/wiki/Edith_Kellman
  49. Cosmology Standard Candle not so Standard After All; JPL, https://www.jpl.nasa.gov/news/cosmology-standard-candle-not-so-standard-after-all
  50.  Fool-Proofing Galactic "Candles"; NASA, https://imagine.gsfc.nasa.gov/educators/programs/cosmictimes/educators/guide/1993/candles.html
  51. An Atlas of Stellar Spectra. Nature 152, 147 (1943). https://doi.org/10.1038/152147a0
  52. Henrietta Swan Leavitt; in Wikipedia IT, https://it.wikipedia.org/wiki/Henrietta_Swan_Leavitt
  53.  ANNALS OF HARVARD COLLEGE OBSERVATORY. VOL. LX. No. IV.
  54. VARIABLES IN THE MAGELLANIC CLOUDS, BY HENRIETTA S. LEAVITT. 1977, https://articles.adsabs.harvard.edu/pdf/1908AnHar..60...87L
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  56. Edwin Hubble; in Wikipedia IT, https://it.wikipedia.org/wiki/Edwin_Hubble
  57.  Hubblesite, https://hubblesite.org/home
  58. Dirimere, passato remoto e participio passato; in Accademia della Crusca, https://accademiadellacrusca.it/it/consulenza/verbi-difficili/221#:~:text=Dirimere%2C%20passato%20remoto%20e%20participio,passato%20non%20%C3%A8%20in%20uso.
  59. Indranil Banik, Charalambos Pittordis, Will Sutherland, Benoit Famaey, Rodrigo Ibata, Steffen Mieske, Hongsheng Zhao, Strong constraints on the gravitational law from Gaia DR3 wide binaries, Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, Volume 527, Issue 3, January 2024, Pages 4573–4615, https://doi.org/10.1093/mnras/stad3393
  60. Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, Dipartimento di Fisica e Astronomia, Corso di Laurea in Astronomia, Galassie Ellittiche e Principali Processi di Emissione, Tesi di laurea Presentata da Davide Bevacqua, Relatore: Chiar.mo Prof. Daniele Dallcasa, Appello I Anno accademico [2017-2018]; https://amslaurea.unibo.it/16201/1/Tesi_%20Galassie_Ellittiche_e_Principali_Processi_di_Emissione.pdf
  61. Types of galaxies, NASA Science, Universe Exploration; https://universe.nasa.gov/galaxies/types/
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  63. The Megamaser Cosmology Project (MCP); https://safe.nrao.edu/wiki/bin/view/Main/MegamaserCosmologyProject
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La cosmologia, da Einstein al Timescape. ΛCDM VS Timescape. Figure 1: Rappresentazione artistica del modello timescape. Credits: Emiliano Gi...