Il gatto
Kitty-Thanos
o innocuo animale da compagnia?
Disclaimer
#1
Chi scrive non nega i danni causati da Felis catus in
natura, non nega che in alcuni ambienti sia assolutamente da considerare specie
aliena, non nega la ragionevolezza delle misure di contenimento della
popolazione felina, non nega la necessità di una maggiore educazione dei
proprietari al mantenimento del proprio gatto sia per quanto riguarda la salute
fisica e psicologica che per quanto concerne la loro libertà di dare al mondo
una progenie o vagare liberi. Purtroppo l’estrema polarizzazione che contorna
questo tema rende necessario questo mio breve preambolo.
Lo scopo di questo articolo è il mettere in risalto un
cattivo modo di fare scienza e divulgazione che fanno del catastrofismo
e del sensazionalismo un punto di forza laddove invece dovrebbero
prevalere una seria analisi dei dati, il buonsenso e la ricerca di una
comunicazione efficacie, semplice, corretta e intellettualmente onesta.
Il gatto in internet, un tema
scottante.
Sui social
media moderni il tema del gatto domestico è uno di quelli maggiormente
polarizzanti e capaci di suscitare reazioni emotive a tal punto da essere uno
di quelli che generano la maggior quantità di traffico dati in internet. [3,4,5,6]
L’estrema popolarità di questo tema spiega anche il perché esso venga spesso utilizzato
con malizia proprio per generare grandi volumi di interazioni, spesso spinte da
reazioni viscerali e sproporzionate rispetto alle notizie, sia fra chi difende i
mici a spada tratta che fra chi li accusa di essere il male ecologico per
eccellenza. Queste reazioni emotive non mancano di manifestarsi anche quando la
fonte non è un meme, un post o un video su YouTube ma una pubblicazione
scientifica. L’estremo legame affettivo fra H. sapiens e Felis catus
è probabilmente in parte dovuto anche alla neotenia di quest’ultimo e al fatto
che i suoi vocalizzi spaziano in quel ventaglio di frequenze tipici dei neonati
e dei bambini piccoli che per ragioni squisitamente evolutive suscitano i noi
umani una pronta reazione e stimolano gli istinti genitoriali ad accudire la
prole.
Questa premessa
ci conduce al 12 dicembre 2023, data nella quale la rivista Nature Communication
[9]
pubblica uno studio open access [1]
dal titolo “A global synthesis and assessment of free-ranging domestic
cat diet” [2]
(Una sintesi globale e una valutazione della dieta
dei gatti domestici liberi). Come preannunciato anche questo studio ha
scaldato gli animi al punto che molti divulgatori in tutto il globo hanno deciso
di trattarlo. Alcuni di essi, purtroppo, in modo intellettualmente disonesto.
Ma quello che più
concerne questo articolo è un altro studio sul gatto domestico (Felis catus)
intitolato “License to Kill? Domestic Cats Affect a Wide Range of Native Fauna in a Highly Biodiverse
Mediterranean Country”
(Licenza di uccidere? I gatti domestici influenzano un’ampia gamma di fauna
autoctona in un paese mediterraneo ad alta biodiversità) pubblicato in
data 13 dicembre 2019 su Frontiers in Ecology and Evolution. In
particolare esporrò un’analisi delle ragioni che hanno motivato la missiva
inviata in data 19 gennaio 2020 da Giulio Valentino Dalla Riva, Senior Lecturer
presso la University of Canterbury in Nuova Zelanda, nella quale esprimeva
delle preoccupazioni circa sia i refusi che i risultati mostrati nella
pubblicazione di Mori et al. Al fine di chiederne il rigetto. Più avanti
chiarirò le ragioni per le quali ho citato anche lo studio apparso su Nature
Communication.
Mi sono
imbattuto nello studio di Mori E. et al. fortuitamente e subito vi ho
riscontrato alcune criticità. Ma avendo studiato altro e scrivendo solitamente
di astronomia mi sono confrontato con alcuni specialisti per fugare il dubbio che
non fossi io ad aver male interpretato lo studio o semplicemente in errore. Ma
il confronto e la successiva analisi della lettera di richiesta di rigetto
della pubblicazione mi hanno persuaso di non aver preso il proverbiale
granchio.
Le criticità.
La descrizione e l’analisi dello
studio e delle sue parti problematiche sono relative alla prima versione
pubblicata in data 13 dicembre 2019, cioè prima del corrigendum [11]
del 29 ottobre 2020 pubblicato sulla stessa rivista anch’esso come open
access. Il corrigendum si è reso necessario come conseguenza della lettera
di richiesta di rigetto della pubblicazione inviata all’editore capo. Questa
versione corretta dello studio ci fa anche capire che la richiesta non era
infondata. Il perché si sia deciso di ricorrere ad un corrigendum, che
alcuni hanno definito come la proverbiale pezza che è peggio del buco, invece
di rigettare la pubblicazione in toto è una faccenda un po’ più complessa che
ha a che fare con alcuni, non sempre ottimi, meccanismi dell’editoria che
tratteremo più avanti nell’articolo.
Lo studio si
apre affermando che il gatto domestico è considerato, fra gli animali da
compagnia, uno dei maggiori rischi per la conservazione della fauna selvatica
specificando che questa affermazione è palese per gli ambienti insulari e che
invece per la terraferma vi è una carenza di dati.
Segue poi un’affermazione
circa il fatto che l’Italia sia il Paese europeo con la più alta
biodiversità (implicitamente faunistica e terrestre?) senza che essa venga
supportata prove in bibliografia. Pur essendo indùbbio che l’Italia (in realtà
tutto il bacino mediterraneo e i Balcani) sia un hot spot di
biodiversità un’affermazione forte come quella relativa al suo primato andrebbe
ben giustificata con fonti primarie.
Segue una dichiarazione di
intenti dello studio il quale vuole stabilire il valore dello spettro di predazione
specificando poi, nel capitolo “introduzione”, che gli autori vogliono valutare
l’impatto della predazione dei gatti domestici sulla struttura funzionale delle
comunità di vertebrati in Italia e quantificarne la pressione
predatoria.
Lo studio si
basa su due set di dati:
1) il
primo perviene da un progetto di citizen science collezionato da
un campione di 145 gatti di 125 proprietari diversi.
2) il
secondo è relativo a 21 gatti, facenti parte del gruppo di cui
sopra, che sono stati, in aggiunta rispetto agli altri, monitorati dai
ricercatori per un anno. Le modalità di questo monitoraggio non sono
esplicitate nella pubblicazione e per questo risultano ignote.
La citizen science ha fatto anche
cose buone.
I dati della citizen science
sono pervenuti sotto forma di foto geolocalizzate e, come quelle del
gruppo più piccolo, ritraggono (o dovrebbero) le specie predate e
riportate a casa dai gatti. Lo studio cita 2042 eventi di predazione e 2042
foto per una totale di 207 specie predate. Le problematiche riguardo questi set
di dati sono molteplici:
1)
I volontari sono stati reclutati tramite mailing
list, gruppi Facebook e volantini distribuiti presso alcune
sedi universitarie. Non è chiaro come siano stati randomizzati i volontari, se
sono statisticamente rappresentativi ed è per ciò lecito sospettare che per via
del tema trattato e dei metodi di reclutamento il set possa essere affetto da
bias.
2)
Perché i 21 gatti? Perché solo 21? Come e
perché sono stati scelti specificamente quei 21 gatti? Queste domande non hanno
risposta a causa di carenze o nella redazione dello studio o nella sua
strutturazione. Non ci è dato sapere quale di queste sia la ragione di questa
manchevolezza.
3)
I 145 gatti come erano distribuiti fra i 125
proprietari? Ancora una volta lo studio non lo chiarisce. Potrebbe anche
essere che 124 proprietari abbiano un gatto ognuno e tutti i restanti facciano
parte di una colonia. Questi erano tutti i gatti di quei 125 proprietari o solo
una parte di essi? Se erano solo una parte, erano solo quelli attivi nella
caccia? La mancanza di questi dati apre un portone alla possibilità che tutto
lo studio sia affetto da un gravoso bias.
4)
Il campione di 145 gatti è statisticamente carente
nel senso che è estremamente ridotto perché possa rappresentare la
popolazione di gatti domestici italiani considerandone età, sesso,
alimentazione, areale et cetera; quello di 21 lo è ancora di più
soprattutto se si pensa che lo studio ha la pretesa di estrapolare da questi
dati delle conclusioni sensate per una popolazione felina Italiana di gatti
domestici che gli autori stimano, senza fornirne prova alcuna, in 10 milioni di
individui.
5)
Abbiamo un riferimento solo circa il sesso dei
gatti in esame e la distanza della loro residenza dalla campagna. Mancano
dati utili quali l’età e altre abitudini alimentari. Sarebbe utile sapere
quanti di questi gatti vengono nutriti in casa, come e con quale frequenza.
6)
L’identificazione tassonomica delle specie
predate è dubbia per almeno due motivi:
a) Identificare
piccole specie tramite foto scattate da non professionisti può essere molto
difficile e nella pubblicazione non vi è traccia del processo identificativo. Non
è un caso che i luoghi sul web dedicati all’identificazione delle specie, sia
animali che vegetali, pullulino di meme relativi a richieste di identificazione
tramite foto a dir poco inappropriate.
b) Non
è chiaro quante delle foto ricevute siano state accettate e nel caso che alcune
siano state scartate nello studio non vi è traccia di esse. Questo è importante
perché il dato è significativo al fine dei calcoli.
7)
Il set di foto non è mai stato reso
disponibile per una questione di riservatezza e non è chiaro il perché non si
possano rendere disponibili le sole foto raffiguranti le predazioni scevre dei
dati sensibili dei cittadini. Cito testualmente dal corrigendum:
“The datasets used for analysis in
this study can be found in online repositories [https://github.com/drmarcogir/cats]. Photos, sensitive data and coordinates of
owner's houses analyzed in this study are subject to the following
licenses/restrictions [National Law 633/1941 and following integrations, DL
196/2003; General Data Protection Regulation – EU Regulation 2016/679] and
cannot be shared also in line with assurance provided to citizen-scientists” |
“I set di dati utilizzati per l'analisi in questo studio
possono essere trovati negli archivi online [https://github.com/drmarcogir/cats]. Le foto, i dati sensibili e le coordinate
delle abitazioni dei proprietari analizzate in questo studio sono soggetti
alle seguenti licenze/limitazioni [Legge Nazionale 633/1941 e successive
integrazioni, DL 196/2003; Regolamento generale sulla protezione dei dati –
Regolamento UE 2016/679] e non possono essere condivisi anche in linea con le
garanzie fornite ai cittadini-scienziati” |
Il grossetto nella
citazione testuale è mio e non degli autori della ricerca.
Disclaimer
#2
Quanto scritto non è e non vuole essere né negli
intenti né nella forma un attacco alla citizen science in toto. Questo tipo di
approccio alla scienza, moderno, innovativo ed estremamente coinvolgente ha
portato a risultati importanti in diverse discipline che spaziano dalle scienze
biologiche allo studio di esopianeti. [36,37,38,39]
Gli esempi non mancano e fra questi non mancano le eccellenze. Ma la citizen
science è e rimane uno strumento che, come tutti gli strumenti, può essere utilizzato bene o male e con fini
etici e/o conformi alla deontologia o malevoli.
L’analisi statistica,
statisti-che-cosa?
![]() |
Figura 3 Math-Kitty. Credit: Emiliano Girina con Deep Dream Generator [19]. |
Lo studia
afferma che sul territorio italiano è stimata la presenza di 10.000.000 (10
milioni) di gatti domestici ma la fonte riportata per questa affermazione è un
sito web [12]
che oltre a non essere una classica fonte bibliografica o fonte primaria per
una articolo scientifico, ad una mia analisi, sembra non contenere il dato in
questione. Lo studio difetta inoltre anche nello stabilire la popolazione
italica delle prede citate; quindi stando ai dati resi disponibili non è
possibile sapere quale sia la reale portata della predazione dei gatti
esaminati. I dati sono limitati alle prede riportate a casa e notate dai
proprietari. Per queste e altre ragioni nella lettera di richiesta di rigetto si
arriva alla conclusione che gli autori, stanti i dati da loro forniti, non solo
non potevano stimare la pressione di predazione ma al massimo potevano arrivare
a stabilire l’abbondanza tassonomica relativa delle prede nella dieta dei gatti
soggetto dello studio.
Nella stessa lettera si legge che, per loro ammissione,
gli autori non hanno né i dati necessari né hanno provato a superare il bias
di selezione delle prede. Notevole!
I tecnicismi
sono esplicitati nella missiva la quale è e deve essere strutturata come una
pubblicazione scientifica. In questo caso specifico esplicita i metodi e
giustifica ogni affermazione in bibliografia.
Inoltre, e
questo è molto grave, la suddivisione tassonomica delle prede è riportata con percentuali
con errori matematici nel calcolo. Delle 207 specie diverse contate dagli
autori ne vengono elencate solo 180. Percentualmente la differenza è enorme.
Specie esotiche, anche troppo esotiche.
Nell’elenco
delle specie predate compaiono alcune delle quali non è nota la presenza
nell’areale coperto dai gatti oggetto di indagine. Nello specifico due specie
endemiche di Sardegna e Corsica (Archaeolacerta bedriagae e Podarcis
tiliguerta) [13]
sono state identificate fra le specie predate dai 21 gatti selezionati anche se
nessuno di questi si trovava su una delle due isole.
Figura 4 Esemplare di Archaeolacerta bedriagae. Aggius, Sardegna, 19/10/2021.
|
Figura 5 Esemplare di Podarcis tiliguerta. Sassari, Sardegna, 19/10/2021.
|
Ancora più
peculiare è il caso di Tarsiger cyanurus [14,15]
che non vive normalmente in Italia. Il suo areale si estende in Asia orientale
e nell’Europa nordorientale. Potrebbe arrivare anche in Italia in casi
sporadici.
Con un po’ di umorismo si
potrebbe affermare che il maggior pregio di questo studio è stato l’ampliamento
dell’areale noto di queste specie fra le quali alcune potrebbero non essere più
considerate endemiche di alcune isole o, addirittura, aliene li dove sono state
predate.
Va a finire che alla fine i gatti hanno fatto anche
cose buone predando specie aliene.
Altre considerazioni.
Nello studio si
descrive il gatto domestico come un predatore apicale. In letteratura
scientifica questo animale è però considerato un mesopredatore: è cioè sia
preda che predatore. In natura è predato almeno da cani, volpi e lupi. Questo
fatto ha implicazioni non trascurabili quando si va a prendere in
considerazione quella frazione di gatti domestici che si rinselvatichiscono in
quanto non ci è dato sapere quanti di essi sopravvivano entro un dato lasso di
tempo.
Nella
pubblicazione gli autori affermano che l’utilizzo di collarini con campanellino
non ha effetto sulla predazione ma è curioso che il primo firmatario della pubblicazione
sia revisore di uno studio [40]
pubblicato il 25 aprile 2022 sulla stessa rivista di quello in esame che
afferma che i campanellini e altri sistemi comparabili riducono, non di poco,
il numero di prede riportate a casa dai gatti domestici liberi di vagare.
Curiosamente a questa pubblicazione ne è seguita una di commento [41]
con alcune correzioni.
Se questa è solo una curiosità che nulla ci dice sulla qualità dei
due studi il fatto dei collari con campanellini nello studio in questione
solleva un altro interrogativo: quanti dei gatti portavano il campanellino?,
per quanto tempo? Il campanellino ha avuto un effetto paragonabile su tutti i
gatti o alcuni ne erano più o meno affetti? L’utilizzo del campanellino aveva
per caso un effetto rivelabile nella caccia di alcune specie o classi di prede
specifiche? Tutte queste domande rimangono senza risposta.
Lo studio di
Mori E. et al. riporta che il più comune animale da compagnia preda un gran
numero di specie che sono, a diversi gradi, minacciate e salta dalla lista IUCN
Italy [20]
alla IUCN International [21]
senza soluzione di continuità tanto che spesso non si capisce a quale delle due
liste stia facendo riferimento. Può sembrare una questione di lana caprina ma
non lo è in quanto il fatto che una specie sia minacciata a livello europeo non
significa che lo sia anche nel territorio italiano e viceversa. Inoltre omette
di specificare le cause pristine che hanno portato le suddette specie in una
condizione di rischio. A livello globale le principali cause di estinzione sono
la riduzione e la frammentazione dell’habitat causati da H. sapiens. Il
gatto domestico appare spesso in letteratura come la principale e più
pericolosa specie aliena a livello globale ma è curioso come non si consideri
mai di menzionare H. sapiens al primo posto. La ragione è squisitamente tecnica
e legata alla definizione di specie aliena.
Cito testualmente dal sito dell’EFSA
(European Food Safety Authority): [22]
“An alien species – animal, plant or micro-organism –
is one that has been introduced as a result of human activity to an area it
could not have reached on its own.” |
“Una specie aliena – animale, pianta o
microrganismo – è una specie che è stata introdotta a seguito dell’attività
umana in un’area che non avrebbe potuto raggiungere da sola.” |
Risulta chiaro che un essere umano non
può, per definizione, essere considerato un organismo alloctono. Ma il problema
è, come per gli OGM, la definizione. Due piante anche geneticamente identiche
potrebbero essere considerate OGM o meno a seconda di come è stata ottenuta la
mutazione.
Parafrasando: alloctono è quando l’arbitro fischia.
Questo
chiarimento, sia ben chiaro, non è uno statuo in favore del gatto. È una
semplice presa di coscienza del fatto che i dati vanno raccolti ed elaborati
sufficientemente e correttamente. Non è nemmeno un arringa in difesa del gatto
domestico in quanto chi scrive è consapevole dei danni che esso ha apportato.
Ma è epistologicamente e metodologicamente errato operare certe inferenze. Non
è scontato, in mancanza di prove contrarie, esportare il contesto isolano delle
Hawaii al territorio italiano.
Peer reviewed, come se fosse antani.
Frontiers non è nuova a casi
peculiari. Per esempio in data 13 gennaio 2024 (quindi
molto dopo la pubblicazione dell’articolo sui gatti) viene pubblicato
uno studio dal titolo “Cellular functions of spermatogonial stem cells in
relation to JAK/STAT signaling pathway” [17]
nel quale le immagini a corredo sono generate tramite l’utilizzo di AI. Nulla
di scandaloso, sia chiaro, a meno di non andare a controllare le immagini, le
quali risultano del tutto senza senso e con didascalie incomprensibili.
|
|
||
Credit:
Creative Commons Attribution License (CC BY), Guo X, Dong L and Hao D (2024)
Cellular functions of spermatogonial stem cells in relation to JAK/STAT
signaling pathway. Front. Cell Dev. Biol. 11:1339390. doi: 10.3389/fcell.2023.1339390 |
In data 25 febbraio 2024
quest’ultima pubblicazione risulta ritirata [42]
con la seguente motivazione:
“Following publication, concerns
were raised regarding the nature of its AI-generated figures. The article
does not meet the standards of editorial and scientific rigor for Frontiers
in Cell and Developmental Biology; therefore, the article has been retracted.” |
“Dopo la pubblicazione, sono state sollevate
preoccupazioni riguardo la natura dei dati generati dall'intelligenza
artificiale. L'articolo non soddisfa gli standard di rigore editoriale e
scientifico di Frontiers in Cell and Developmental Biology; pertanto
l'articolo è stato ritirato.” |
Per quanto non si possa che
essere soddisfatti dell’epilogo rimane da capire come sia stato possibile che
una tale stortura abbia superato la revisione paritaria. I due revisori della
pubblicazione hanno dichiarato [43]
che la responsabilità circa le Immagini AI-generated e che questa
responsabilità compete l’editore. Di altro avviso è invece l’altra rivista già
citata in questo articolo: Nature che in data 07 giugno 2023 ha annunciato [44]
di aver bannato le immagini AI-generated dalle sue pubblicazioni.
Ci sarebbe poi da aprire un
enorme capitolo sulle pubblicazioni scientifiche, in gran parte cinesi ma non
solo, generate in più o meno ampia parte con
AI e LLM ma questo esula dallo scopo di questo articolo.
Di pertinente
c’è invece il problema dell’open access in letteratura
scientifica. L’editoria scientifica ha dei costi (produzione del cartaceo,
costruzione e mantenimento della produzione digitale, revisione, spese legali
et cetera) e giustamente deve rientrare di questi costi cercando anche di
generare un profitto. Gli editori incassano tramite gli abbonamenti e la
vendita dei singoli numeri delle loro riviste, tramite l’accesso on-line a
pagamento per i singoli articoli che quindi sono accessibili solo oltre un
paywall o facendo pagare gli autori o le istituzioni per cui lavorano o, ancora,
chi finanzia lo studio. Gli incassi dell’editoria predatoria si basano
prevalentemente su quest’ultima forma di incasso. Questo non significa che una
pubblicazione scientifica distribuita come open access sia da
considerare di scarso o nullo valore solo perché è consultabile gratuitamente.
Non dimentichiamo che capita, purtroppo, che alcuni autori decidano
consapevolmente di pubblicare i loro lavori su testate predatorie anche se
questi sono di buona qualità. [35]
Credetemi quando affermo che il dibattito sui modi e i meriti dell’editoria
scientifica e sull’etica delle pubblicazioni in generale è feroce.
Predatori. Si ma quali?
![]() |
Figura 7 Le valutazioni su quali riviste potrebbero essere predatorie o legittime non coincidono e i titoli possono apparire in entrambe le categorie. Non c'è modo di sapere quali riviste sono state prese in considerazione per un elenco ma sono state lasciate o quali non sono state prese in considerazione. Tradotto dall’articolo di Nature. Credit: Nature 576, 210-212 (2019) doi: https://doi.org/10.1038/d41586-019-03759-y [45] |
Ricordiamo che Frontiers era già
stata inserita nella lista delle cosiddette riviste predatorie da PredatoryReports.org
[24].
Questo motivò il suo editore a
pubblicare una lettera aperta indirizzata ai suoi lettori nella quale oltre a
difendere la rivista stessa accusa gli autori del sito affermando [25]
che essi:
“deliberately
seek to undermine our organization, our community, and the open access
movement by disseminating false information about Frontiers.” |
“cercano deliberatamente di
indebolire la nostra organizzazione, la nostra comunità e il movimento per
l’open access diffondendo false informazioni su Frontiers.” |
Un altro articolo di difesa da
PredatoryReports.org afferma che quest’ultimo sia un sito di disinformazione; [26]
cito testualmente:
“Frontiers has been listed on a misinformation
website called predatoryreports.org. The website’s ownership and purpose are
deliberately unclear, and the information provided both in its blog and
journal listings is incorrect. The website claims to help researchers to
identify trusted publishers, however, its lack of accountability, ethical
oversight, committee support, or appeal process shows that its content cannot
be relied upon.” |
“Frontiers è stato inserito nell'elenco di un sito di disinformazione
chiamato predatoryreports.org. La proprietà e lo scopo del sito web sono
volutamente poco chiari e le informazioni fornite sia nel blog che negli
elenchi delle riviste non sono corrette. Il sito web afferma di aiutare i
ricercatori a identificare editori affidabili, tuttavia, la sua mancanza di
responsabilità, supervisione etica, supporto da parte di comitati o processo
di appello dimostra che non è possibile fare affidamento sul suo contenuto.” |
In entrambi questi virgolettati
il grossetto è mio e non degli autori del testo originario.
Entrambe le accuse sono
abbastanza “forti”.
Una rivista
(scientifica) predatoria è un’entità editoriale (cartacea e/o on-line) che,
previo pagamento, accetta e pubblica lavori scientifici di qualunque qualità.
Nei casi peggiori vengono pubblicati dei completi nonsense e/o fandonie.
Cito a titolo di esempio uno studio intitolato “Cyllage City COVID-19 Outbreak Linked to Zubat Consumption” (L’epidemia di Cyllage City COVID-19 è collegata al
consumo di Zubat). Zubat, per chi non lo sapesse è un pokemon.
Alcune persone
sono disposte a pagare, spesso con soldi provenienti dai finanziamenti alle
loro ricerche, col solo scopo di accrescere la loro visibilità scientifica
grazie ad una distorsione verso l’alto degli indici legati alla produzione
scientifica dei ricercatori. Uno di questi è l’H-index ma ne esistono
altri.
Questo significa che Frontiers è
una rivista predatoria? No, ma credo che quanto scritto finora possa per lo
meno mettere in dubbio la qualità del loro lavoro di revisione. Una veloce
ricerca on-line [27]
mostra che Frontiers non è nuova a questo tipo di diatribe circa la sua
credibilità editoriale. Durante le ricerche finalizzate alla stesura di questo
articolo ho partecipato ad alcune discussioni on-line alle quali hanno
partecipato anche revisori di Frontiers i quali svolgono il loro lavoro con
estremo zelo e adesione alla deontologia che gli compete.
Disclaimer
#3
Quanto scritto in questo articolo non è una critica al
lavoro di tutti i singoli revisori che prestano le loro competenze a Frontiers
la quale pubblica anche buona scienza. Questo articolo è invece una critica ad
alcuni casi specifici editoria.
Rischio VS Pericolo.
La letteratura
scientifica è chiara nell’affermare che il gatto domestico sia una specie
invasiva e dannosa in quegli ecosistemi nei quali è alloctona.
Questo ci porta
ad almeno un’altra considerazione: il gatto domestico può essere considerato
sempre e dovunque alloctono (alieno)? Abbiamo prove del fatto che la convivenza
con l’animale da compagnia più diffuso al mondo risalga almeno a circa 10.000
anni fa e nello specifico questa evidenza ha sede in un sito archeologico in
Cipro, la grande isola nel mediterraneo orientale.
600 milioni,
questa è una stima del numero di gatti che vivono fra noi H. sapiens in tutto
il mondo. La cifra è impressionante e non da sottovalutare.
A differenza di un cane, un gatto
che dovesse trovarsi a vivere da solo sopravviverebbe abbastanza bene grazie
alle sue capacità predatorie. Ma perché il gatto domestico è un così efficace
predatore? La risposta va ricercata nella peculiarità della sua domesticazione.
Cosa è il
pericolo e in cosa si differenzia dal rischio? Il pericolo è una qualità
intrinseca di un entità: un leone è pericoloso, una colata lavica è pericolosa,
un patogeno è pericoloso. Ma queste entità rappresentano anche un rischio? La
risposta è “dipende”. Il rischio è relativo. Per un abitante delle fiandre,
quale è il rischio di incorrere in un leone? Credo che a differenza di un
abitante della savana sia quasi nullo. Un nordeuropeo non vive in una zona
vulcanica e ha accesso ad un sistema sanitario evoluto ed efficace; quindi i suoi
rischi relativi a leoni, vulcani e patogeni sono bassi. E se fosse un basurero
in una bidonville, e se vivesse alle pendici di un vulcano attivo? La risposta
è ovvia: rischierebbe molto di più.
Possiamo
formulare un ragionamento simile per il gatto domestico. Esso è pericoloso ma
il rischio che rappresenta per gli ecosistemi è relativo. Per quanto mi è dato
sapere tutti gli studi scientifici concordano sul fatto che Felis catus
arrechi danno laddove è alieno, specialmente nelle isole ma anche in grandi
territoti e sul suolo continentale.
Ma per quanto
riguarda la terraferma e specialmente quelle regioni nelle quali i felini di
piccola taglia sono autoctoni? In questi areali quale rischio rappresenta Felis
catus per la fauna autoctona? E dopo quanto tempo dopo l’inserimento di una
specie in un ecosistema si può smettere di considerarla alloctona?
Tutte queste domande necessitano
una risposta affinché si possa stimare il rischio che la popolazione di gatti
domestici rappresenta per gli ecosistemi e le valutazioni devono essere
territorio-specifiche.
Questo ci porta ad un’altra
criticità che riguarda sia la pubblicazione in esame che l’interpretazione che
è stata fatta di molti studi simili, anche ben fatti.
Qualità VS Quantità.
Sia lo studio apparso su Nature
Communication che quello pubblicato fu Frontiers in Ecology and Evolution
offrono un quadro qualitativo ma non quantitativo. Ci dicono che il gatto
domestico preda in natura, ci dicono cosa preda e magari anche come preda. Il
primo dei due studi citati riferisce che il nostro tenero micio da salotto
preda più di 2.000 specie diverse fra le quali anche alcune più grandi di lui e
di queste 300 sono, a vario grado, minacciate di estinzione. Ma in mancanza di
altri dati (quali la quantità e la distribuzione della popolazione di Felis
catus, quanti di questi abbiano libero accesso all’aperto, come e quanto
vengano nutriti et cetera e dati simili circa le popolazioni delle specie
predate senza dimenticare la predazione da parte di animali che non sono i
gatti) è molto difficile calcolare stime della pressione predatoria che i
nostri gatti esercitano in natura sia dove i piccoli felidi sono autoctoni che
dove sono alloctoni.
Questo non significa che chi
scrive stia negando i danni causati dai gatti domestici. Significa altresì che le
conclusioni di uno studio condotto in Australia, nelle Hawaii o in altre isole
non possano essere automaticamente trasposte ad un territorio in cui il gatto
domestico, o per lo meno il suo parente prossimo selvatico, siano autoctoni.
Questo ci conduce ad un altro
argomento.
Origini del gatto domestico.
Recenti studi hanno chiarito il
dilemma su quale sia l’antenato da cui ha avuto origine il gatto domestico. Ce
ne parla Carlos A. Driscoll, primo firmatario di “The Taming of the Cat”
[18] (La domatura del gatto). Driscoll ci spiega che
grazie ad un esteso studio di genetica con circa 1.000 campionamenti si è
capito che delle 5 sottospecie di gatto selvatico (Felis silvestris) il
gatto domestico (Felis silvestris catus) ha avuto origine da quella
mediorientale (Felis silvestris lybica).
![]() |
Figura 8 I ricercatori hanno esaminato il DNA appartenente a quasi 1.000 gatti selvatici e domestici provenienti da tutto il Vecchio Mondo per determinare quale sottospecie del gatto selvatico, Felis silvestris, abbia dato origine al gatto domestico. Hanno scoperto che il DNA si raggruppava in cinque gruppi, in base alla somiglianza della sequenza, e hanno notato che i gatti selvatici all’interno di ciascun gruppo provenivano dalla stessa regione del mondo (mappa). I gatti domestici, invece, fanno gruppo solo con F. silvestris lybica, il gatto selvatico del Medio Oriente. Questo risultato ha stabilito che tutti i gatti domestici discendono solo da F. s. lybica (albero genealogico).
Credit: Driscoll CA, Clutton-Brock J, Kitchener AC, O'Brien SJ. The Taming of the cat. Genetic and archaeological findings hint that wildcats became housecats earlier--and in a different place--than previously thought. Sci Am. 2009 Jun;300(6):68-75. PMID: 19485091; PMCID: PMC5790555. |
Per quanto
riguarda, invece, “il quando” la faccenda
è invece stata analizzata grazie alle scoperte degli archeologi perché i
meccanismi molecolari, i cosiddetti orologi molecolari che permettono di
risalire al momento in cui due specie (o sottospecie) hanno iniziato a
separarsi, falliscono su tempi scala della decina di migliaia di anni.
In estrema
sintesi, siccome esistono tracce del topo domestico (Mus musculus domesticus)
in luoghi di conservazione del grano che risalgono a 10.500-9.500 anni fa,
siccome questo animale è la preda d’elezione del gatto e siccome la presenza e
abbondanza del topo negli insediamenti umani è ritenuta una delle condizioni
che hanno spinto il gatto selvatico ad avvicinarsi agli accampamenti degli
umani è lecito supporre che le prime convivenze, magari a debita distanza, e le
prime forme di gatto protodomestico risalgano a quel periodo.
Le prime tracce
di convivenza pacifica, e magari affettuosa, fra umano e gatto risalgono invece
ad almeno 9.500 anni fa. Questo dato di è fornito dalla scoperta di una sepoltura
doppia (umano e gatto) a Cipro. È da notare che il gatto non è nativo
dell’isola per cui vi deve essere stato condotto via mare dagli umani. La
doppia sepoltura ci fa legittimamente supporre che l’animale non umano avesse
un ruolo affettivo di qualche tipo per il suo compagno di sepoltura o la sua
famiglia.
Da li in poi la strada che ha
portato alla “completa” domesticazione (forse in parte autodomesticazione) del
gatto era spianata e si arriva all’Egitto di 3.600 anni fa fra le cui
pitture compaiono gatti in atteggiamenti del tutto domestici: accovacciati
sotto le sedie o che mangiano da una ciotola. In estrema sintesi:
ü 10.500–9.500
anni fa resti di topi domestici conservati con riserve umane di grano in
Israele; L’origine dell’agricoltura e degli insediamenti umani permanenti crea
opportunità per i gatti disposti ad avvicinarsi abbastanza agli esseri umani
per cacciare i topi domestici.
ü 9.500
anni fa Doppia sepoltura umana e felina sull'isola mediterranea di
Cipro; prime prove di una relazione speciale tra persone e gatti.
ü 3.700
anni fa Statuetta di gatto in avorio scolpita in Israele; suggerisce
che i gatti fossero una vista comune intorno agli insediamenti umani nella
Mezzaluna Fertile.
ü 3.600
anni fa gli artisti dipingono gatti domestici di Tebe, in Egitto; la
più antica testimonianza chiara di un gatto completamente addomesticato.
ü 2.900
anni fa i gatti diventano “divinità ufficiale” dell'Egitto sotto forma
della dea Bastet; l'enorme numero di gatti sacrificati e mummificati nella
sua città sacra indica che gli egiziani allevavano gatti domestici.
ü 2.300
anni fa Il culmine del culto dei gatti in Egitto; i sovrani tolemaici
mantengono severi divieti sull'esportazione di gatti.
ü 2.000
anni fa i resti di gatti conservati nel sito tedesco di Tofting nello
Schleswig e i crescenti riferimenti ai gatti nell'arte e nella letteratura
mostrano che i gatti domestici erano comuni in tutta Europa.
ü 1350–1767 Il
Tamara Maew (o “Poesie del libro dei gatti”), composto da monaci buddisti in
Thailandia, descrive le razze naturali indigene, come il siamese, che sono nate
in gran parte attraverso la deriva genetica, in opposizione all'intervento
umano.
ü 1800 Secondo
gli scritti dell'artista inglese di storia naturale Harrison Weir la maggior
parte delle razze moderne si sviluppò nelle isole britanniche
ü 1871 La
mostra felina al Crystal Palace di Londra è la prima a includere razze create
dall'uomo.
ü 2001 Nasce
il primo animale domestico clonato, un gattino chiamato "cc", al College
of Veterinary Medicine della Texas A&M University.
Questa timeline è liberamente tratta e tradotta
dall‘articolo di Driscoll et al. [18]
The Taiming of the Cat.
Quindi, a seconda del territorio,
il gatto “domestico” è presente da quasi 10.000 anni. È lecito chiedersi dopo
quanto tempo dall’introduzione una specie non dovrebbe più essere considerata
aliena? Dopo quanto inizia a crearsi un nuovo equilibrio ecologico? La risposta
breve è: non abbiamo una risposta certa.
In molti si sono domandati il
perché delle peculiarità del gatto come animale domestico soprattutto quando lo
si paragona ad altri. Normalmente gli animali domestici vivono bene in gruppo e
non sono in grado di sopravvivere, o vivere bene, in natura al di fuori della
cattività. Il gatto domestico invece è un animale che sta bene da solo e quando
rinselvatichito può provvedere a se stesso, sa predare e non dipende da fonti
di alimentazione umane. La ragione di questo sta nel fatto che il gatto è stato
tollerato, e poi voluto, proprio per le sue capacità predatorie per cui in
antichità non ha attraversato una fase di selezione artificiale che gliele
abbia fatte perdere. Per quanto riguarda la capacità di vivere in gruppo il
gatto domestico lo fa “volentieri” a patto di avere risorse sufficienti. Ma è
proprio questa sua capacità predatoria che lo rende, nel giusto contesto, una
minaccia potenziale per la fauna autoctona. Questo ci porta al successivo
argomento.
Il gatto è pericoloso? Si, ma per
chi?
Il mondo della divulgazione
spesso ignora questo argomento, forse perché ha un basso appeal rispetto al
gatto killer, ma la specie più minacciata (direttamente e sicuramente) dal
gatto domestico è il gatto selvatico. Qui entra in gioco la quantità enorme di
gatti domestici in vita. Alcuni di essi, con grandi differenze a seconda del
contesto sociale, tornano in libertà, vuoi per abbandono o perché partoriscono
lontano dalla casa che condividono con l’umano. Questo fa si che alcuni, forse
troppi, di essi finiscano con l’accoppiarsi, e riprodursi, con gatti selvatici
col risultato di “inquinare” geneticamente e comportamentalmente il loro cugino
selvatico. A causa di diversi fattori fra cui la loro estrema vicinanza
genetica (che porta ad una facile “ibridazione”) i gatti selvatici puri da
utilizzare per il mantenimento della specie stanno, in alcuni areali,
diminuendo in percentuale rispetto alla popolazione totale. Ci sono poi casi
come quello scozzese in cui il gatto selvatico è estinto. [46]
In natura il primo antagonista per un animale è un altro animale che compete
con esso per le stesse risorse nello stesso areale. I Gatti domestici e
selvatici fanno esattamente questo. Mi vogliano perdonare gli specialisti per
l’estrema semplificazione. Il prossimo passo di questo filo narrativo è la
Cattiva divulgazione.
Molti canali
divulgativi purtroppo rincorrono la notorietà sfruttando più le tecniche del
marketing e/o il clickbait che non la produzione di contenuti di
qualità. Questo fa si che certi content creator periodicamente
(ri)tirino fuori tutta una serie di argomenti fortemente polarizzanti, spesso
senza la minima intenzione di spiegare ai fruitori dei loro contenuti come stanno i fatti e dove e perché questi
ultimi sbaglino in quei ragionamenti che li portano a tifare per una tesi
piuttosto che per un’altra.
Spesso vengono
proposti contenuti basati su informazioni “scientificamente vere” (non mi
addentrerò in quel ginepraio epistemologico, logico e filosofico che è la
definizione di verità) ma proposte in modo fuorviante passando dalla
decontestualizzazione alla vera e propria argomentazione fallace. Si mostrano
studi che analizzano e dimostrano i danni del gatto domestico in questa isola o
in quel territorio per poi giustificare l’affermazione secondo la quale Felis
catus è pericoloso e dannoso sempre e comunque,
soprattutto per le specie che preda, anche laddove esistono altri felini
di piccole dimensioni suoi diretti competitori.
Si citano questo e quello studio
(vedasi i primi due che ho citato in questo articolo) che dimostrano che il
gatto domestico caccia oltre 2.000 specie diverse [22]
omettendo però di citare che di quelle specie minacciate, in tutta la
letteratura scientifica, è registrata una sola predazione. E da questo si cerca
di inferire che il gatto domestico minaccia quella specifica specie che magari
è a rischio per tutt’altre ragioni. In molti tacciano questo di benaltrismo ma
non lo è, o almeno non lo è se il ragionamento viene portato avanti
correttamente. Chi scrive, e con lui altri specialisti, non afferma che i danni
del nostro amato micio vadano ignorati perché “signora mia!” e allora i
cacciatori, e allora noi umani? Chi scrive, e con lui altri specialisti afferma
che prima di sbraitare o allarmare per l’apocalisse ecologica causata da micio servirebbero seri studi
quantitativi sulla pressione predatoria. Studi che non sono semplici da
condurre.
Tieni giù la mani dalla catena
trofica.
Esistono molti progetti, più o
meno seri e sensati, di eradicazione del gatto domestico e di altre specie
invasive. Alcuni sono anche stati messi in pratica “non sempre” col
raggiungimento del risultato sperato. Ma i progetti di eradicazione e di
controllo della popolazione, oltre che eticamente complessi perché non sempre
riguardano specie aliene, sono imprevedibili in quanto vanno ad impattare sulla
catena trofica, o catena alimentare, sconvolgendola e portando a volte a
conseguenze che sono peggiori del danno a cui si voleva porre rimedio. Il
problema è che non sempre sono noti tutti rapporti di predazione e il loro peso
specifico all’interno dell’ecosistema per cui l’eradicazione di un predatore (o
mesopredatore) che preda A potrebbe far esplodere la popolazione di un altro
predatore (o mesopredatore) concorrente che però magari preda anche B portando
ad un crollo di quest’ultimo (ipersemplificazione). Prima di intervenire
servono studi più dettagliati e una più puntuale conoscenza dell’ecosistema che
si vuole manipolare.
Sempre Driscoll, in uno studio del 2019 intitolato “Conservation
or politics? Australia's target to kill 2 million cats” (Conservazione o politica? L'obiettivo dell'Australia è
uccidere 2 milioni di gatti) ci mostra quali possono essere alcune delle
cattive conseguenze di una campagna di sterminio organizzata senza la minima
base scientifica. Nello specifico in un lustro sono stati uccisi, spesso
brutalmente, dalle molte decine di migliaia al milione e mezzo di gatti senza
alcun beneficio per le specie minacciate. I benefici non sono arrivati non
solo perché non è stata raggiunta la quota minima percentuale di uccisioni
necessarie affinché le specie predate potessero beneficiarne ma, più a monte,
perché non esisteva una stima della popolazione felina dell’Australia. Come si
può pianificare di uccidere il 60% degli individui di una popolazione della
quale non si conosce la numerosità?
Questa politica e altre simili
hanno la colpa, assieme a mass media classici e moderni, e divulgatori
clickbaiter, di aver portato a episodi di becera barbarie culminati in veri e
propri atti di violenza e crudeltà gratuita contro gli animali non umani. Cito
ad esempio la strage dei gatti della colonia di Stockton del porto di Newcastle
[30]
che ha visto numerosi gatti mutilati e gravemente feriti. Altri progetti
vorrebbero ricorrere al gene drives ma comportano il rischio di
diffondersi incontrollabilmente al di fuori del territorio interessato e di
coinvolgere anche i gatti selvatici. [31,32,33,34]
Considerazioni finali e conclusione.
È difficile concludere una
articolo come questo. Lo è per diverse ragioni sia personali che gnoseologiche.
Per quanto mi sia sforzato di essere oggettivo sono cosciente della mia
potenziale fallacità in quanto essere umano. Anche io posso essere vittima di
bias o incappare in ragionamenti fallaci. La seconda ragione è che proprio per
la carenza di dati che ho più volte citato l’unico consiglio che mi sento di
dare è quello di non scadere e non cadere vittime del terrorismo mediatico. Gli
interventi in natura devono essere ben coordinati. Non serve a nulla eradicare
una specie aliena invasiva se poi non si fa niente per prevenire l’arrivo di
un’altra o di altre. Non serve a nulla eradicare, o provarci
indiscriminatamente, una specie invasiva se contemporaneamente no si
salvaguardia l’areale delle specie che si vuole proteggere. E nel caso del
gatto è inutile inneggiare allo sterminio se prima non si educano i proprietari
di gatti alla cura a tutto tondo del loro compagno peloso. Questa educazione
deve essere anche di tipo civico e deve comprendere anche e soprattutto sistemi
di controllo meno cruenti quali la sterilizzazione o la limitazione degli
spostamenti laddove possibile. Sono cosciente che non tutti i gatti si adattano
bene ad una vita fra le quattro mura e non tutti sopportano di portare
campanellini o altri strumenti atti a diminuire il rateo di successi durante la
caccia.
I conflitti di interesse.
Il tema trattato è disseminato di conflitti di interesse a
tutti i livelli:
a) La
produzione scientifica. Esistono diversi studi in cui viene analizzata
l’efficacia degli accessori per gatto che mirano a ridurne il rateo di successo
durante la caccia. Purtroppo non tutti questi studi sono indipendenti in quanto
alcuni sono finanziati dai produttori stessi dei suddetti dispositivi.
b) Le
riviste predatorie. Queste pubblicano lavori dei quali non è
“ragionevolmente garantita” la qualità. Esistono casi di circle of trust
di autori che si inseriscono l’un l’altro come coautori nelle rispettive
pubblicazioni per aumentare il loro prestigio percepito al fine di costruire
una carriera non basata sul merito. Alcuni di questi autori hanno una cadenza
di pubblicazioni disumana in quanto compaiono come autori o coautori di un
numero spropositato di pubblicazioni, senza contare quei casi nei quali sono
revisori o curatori.
Una breve menzione la meritano
quelle entità che promuovono l’eradicazione di specie aliene avendo un enorme
conflitto di interessi. Parlo di entità che ad esempio promuovono la caccia
venatoria e che sarebbero, in caso di via libera, in prima linea sicuri di
potersi divertire essendo al contempo ben finanziati per fare quello che taluni
chiamano sport.
Ma soprattutto non bisogna
indossare un paraocchi durante la ricerca utopica di una soluzione unica e
perfetta. Delle volte bisogna scendere a compromessi ma il processo decisionale
non può essere guidato dall’emotività ma deve piuttosto essere razionale e
ponderato grazie alle conoscenze scientifiche acquisite e consolidate pur
sapendo che queste possono essere fallaci e/o perfettibili.
Ogni volta che qualcuno vi propone una soluzione
semplice per un problema complesso la soluzione è sbagliata e quel qualcuno è o
ignorante o in malafede o è afflitto da entrambe le condizioni.
Siate
curiosi e pretendere le fonti.
E che siano fonti decenti.
Fonti e letture correlate e/o consigliate:
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fundamentals of open access and open research, springernature.com, https://www.springernature.com/gp/open-research/about/the-fundamentals-of-open-access-and-open-research
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